Panetta e il problema della produttività, italiana ed europea

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Panetta e il problema della produttività, italiana ed europea

Panetta e il problema della produttività, italiana ed europea

l'intervento

Il governatore della Banca d'Italia mette al centro il ritardo competitivo dell'Italia rispetto all'Europa e dell'Europa rispetto agli Usa. E rilancia l'European productivity compact con un debito comune per investire in beni strategici e innovazione

Il centro delle preoccupazioni di Fabio Panetta non sono tanto i dazi di Trump ma la nostra produttività. La parola non è solo la più pronunciata delle Considerazioni finali di quest’anno (tredici volte), ma è anche il filo conduttore del suo mandato. A novembre 2023, dedicò al tema il suo primo discorso da governatore della Banca d’Italia: “La nostra economia soffre da oltre due decenni della stagnazione della produttività del lavoro, a fronte di un aumento annuo dell’1 per cento nel resto dell’eurozona”. Allora l’attenzione di Panetta era sull’arretramento dell’Italia rispetto all’Europa. Oggi sposta il focus sul ritardo dell’Europa rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. In un certo senso, l’Italia è l’avanguardia del declino europeo. “Da noi, i problemi di crescita e innovazione che oggi assillano l’Europa sono emersi prima, e in modo accentuato”, ha detto Panetta verso la fine del suo intervento.

“L’economia europea mostra fragilità strutturali evidenti. La stagnazione della produttività e il ritardo nell’innovazione ne limitano il potenziale di crescita”. La diagnosi del governatore si basa su numeri eloquenti: “Negli ultimi trent’anni, la produttività del lavoro nell’Unione europea è cresciuta del 40 per cento, oltre 25 punti percentuali in meno degli Stati Uniti. Dal 2019 il divario si è ampliato: in Europa la produttività è aumentata del 2 per cento, contro il 10 negli Stati Uniti, dove è stata sospinta soprattutto dai settori a tecnologia avanzata”. Il ritardo è la conseguenza di scarsa innovazione. “In rapporto al pil le imprese europee investono in ricerca e sviluppo la metà di quelle statunitensi. Gran parte di questi investimenti proviene da realtà attive da decenni in settori a tecnologia intermedia, come quello automobilistico; è invece debole l’apporto delle aziende giovani e innovative, che spesso scelgono di trasferire l’attività all’estero”. Questo affaticamento del modello produttivo, concentrato in settori maturi e poco dinamico nei settori innovativi, soprattutto in un contesto di tensioni geopolitiche e commerciali, rende l’Europa molto più vulnerabile. Come se ne esce?

Panetta riprende gli studi e le proposte già elaborate a livello europeo per migliorare la competitività e rafforzare il mercato unico, dal rapporto Draghi al rapporto Letta, ma a questo pacchetto di riforme aggiunge il “Patto europeo per la produttività”: un programma di investimenti comuni per rilanciare la crescita e rafforzare l’autonomia strategica europea in settori critici. L’idea è di affiancare alla riduzione delle barriere al mercato di beni e servizi e alla creazione del mercato unico dei capitali, necessari a mobilitare gli investimenti privati nei settori innovativi, un piano di investimenti pubblici per finanziare i cosiddetti “beni comuni europei”, come appunto sono la sicurezza energetica e la difesa. “Per eliminare alla radice la frammentazione del mercato dei capitali lungo linee nazionali è cruciale introdurre un titolo pubblico europeo, con un duplice obiettivo: finanziare la componente pubblica degli investimenti e fornire un riferimento comune, solido e credibile all’intero sistema finanziario”.

È questo l’European productivity compact che Panetta aveva già proposto a fine dicembre 2024: “Un mercato dei capitali integrato, con al centro un titolo comune europeo, ridurrebbe i costi di finanziamento per le imprese, attivando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno e innalzando, a regime, il pil dell’1,5 per cento. L’effetto sul pil potrebbe risultare fino a tre volte maggiore se i nuovi investimenti fossero destinati a progetti ad alto contenuto tecnologico”. Si tratta, in sostanza, di replicare il modello di riforme più investimenti alla base del Next Generation Eu, ma con obiettivi più ambiziosi.

Nell’attuale quadro politico europeo, con i partiti di estrema destra in ascesa in Germania e altrove, è un progetto di difficile attuazione: l’idea di un debito comune è sempre visto come fumo negli occhi negli altri paesi nordici, soprattutto se la proposta arriva da Roma. Ma è anche vero che il contesto globale è cambiato. Da un lato è più impellente la necessità strategica dell’Unione europea di aumentare gli investimenti nella sicurezza per costruire una difesa comune, dall’altro lato nel mondo si è creato sempre più spazio per un safe asset europeo a causa della maggiore incertezza sui Treasury americani e sulla stessa credibilità del dollaro, minata dalle politiche protezioniste di Trump (“Lo stesso ruolo del dollaro come architrave del sistema monetario internazionale è messo in dubbio”, ha ricordato oggi Panetta). Quindi un titolo privo di rischio europeo ora servirebbe a finanziare investimenti comuni, a sviluppare un mercato europeo dei capitali e darebbe un maggior peso internazionale all’euro. Avrebbe pertanto un senso molto diverso dalla semplice “mutualizzazione dei debiti”, che da sempre suscita diffidenze in Europa.

Ma affinché il “Patto per la produttività” possa avere speranze di vedere la luce, è importante che l’Italia sia coerente con l’idea di creare un mercato unico dei capitali. E invece il governo Meloni è quello che in Europa ha messo il veto sulla riforma del Mes, che rappresenta un pezzo dell’Unione bancaria, e che impone il golden power sulle fusioni bancarie nazionali, con un intervento ben più duro rispetto agli ostacoli che pone la Germania sulle operazioni crossborder delle banche italiane. Panetta indica una soluzione, ma difficilmente potrà funzionare se l’Italia è parte del problema.

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