Prima di tornare a parlare di fine vita, rileggiamo un po’ di Pasolini


Foto di Mufid Majnun su Unsplash
sul fine vita
La lente ideologica deforma sempre tutto. Le parole del poeta novecentesco sull’aborto illuminano con forza brutale le derive di oggi, dove il pensiero si appiattisce e il dissenso viene liquidato come anacronismo
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Proviamo per una volta a rileggere il geniale e sempre scomodo Pier Paolo Pasolini. Proviamo a rileggerlo a proposito di un tema scomodissimo, l’aborto. “Sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. (…) A proposito dell’aborto, è il primo, e l’unico, caso in cui i radicali e tutti gli abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla Realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione ‘cinica’ dei dati di fatto e del buon senso. (…) Perché io considero non ‘reali’ i princìpi su cui i radicali ed in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto? Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni”.
Se dovessimo descrivere la situazione nel nostro paese alla vigilia di una potenziale ripresa (chi si ricorda l’inizio? C’è mai stato un serio inizio?) della discussione sulla fine della vita, non potremmo trovare parole più adatte. In Toscana, si apprende, c’è stato il primo caso a maggio di un cittadino morto per autoiniezione letale concessa da una legge regionale impugnata dal governo, scompostamente osannata dagli uni, trasversalmente appoggiata da altri ma soprattutto deformata dalla lente ideologica che arriva a far accettare ai più una mostruosità come la legalizzazione del suicidio o dell’omicidio. Quella “prevaricazione cinica dei dati di fatto e del buon senso” di cui scriveva Pasolini per descrivere il metodo usato per trasformare il delitto in diritto, quel “conformismo” secondo il quale chi dissente è un barbaro retrogrado. Ma soprattutto quella serie “caotica, tumultuosa e emozionante” di ragioni che rischia di trasformare quella che dovrebbe essere una pacata discussione non solo parlamentare in una sterile e pericolosa bagarre nella quale i pochi che avrebbero qualcosa da dire non parleranno mai o, al meglio, non saranno ascoltati da nessuno. “So che là io ero esistente”, scrive splendidamente Pasolini rispetto alla sua vita prenatale. Sappiamo che anche alla fine siamo esistenti, verrebbe quindi da pensare, e non solo per farci da parte.
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