Il Brescia non si iscrive in C: scompare la società che visse la grande bellezza di Baggio e Pirlo

Tempo scaduto. Il Brescia non si iscrive nemmeno al campionato di serie C, resta fuori dal calcio una città che si è deliziata coi talenti più puri.
Play, rewind, play. Visto e rivisto all’infinito: Andrea Pirlo dà un’occhiata laggiù in fondo, inclina il corpo, indirizza il pallone trenta metri più avanti dove Roberto Baggio lo accarezza facendolo scorrere di lato, attaccato al piede eppure irraggiungibile per Van der Sar, il portiere della Juventus che si lancia a vuoto e spalanca la porta all’apoteosi. È la grande bellezza, il gol che condensa in pochi tocchi la classe del calcio italiano che fu. Era il primo aprile 2001. Pirlo e Baggio giocavano insieme nel Brescia, allenati da Carlo Mazzone.
Play, rewind. E ora stop. Il calcio professionistico a Brescia non esiste più. Il fallimento amministrativo è imminente, quello sportivo si è già concretizzato con la mancata presentazione dei documenti per l’iscrizione alla serie C. Sul campo, la squadra era riuscita a ottenere faticosamente la permanenza in B dopo due anni in bilico tra depressione e sogni di rinnovate ambizioni. Spinta verso la terza serie calcistica dal Cosenza con un gol al 95’ nei playout del giugno 2023 (con una coda indecorosa di violenza da parte dei tifosi lombardi), ripescata in estate per il patatrac della Reggina, arrivata a giocarsi la promozione in A ai playoff dell’estate successiva. L’ultima stagione è stata piuttosto amara, ma il fiele è arrivato tutto in coda. A campionato finito la penalizzazione di quattro punti per inadempienze amministrative ha terremotato la classifica: Brescia retrocesso in C, Frosinone salvo, Sampdoria – l’altra grande decaduta – giubilata e riammessa ai playout contro una Salernitana infuriata perché tutte le date sono saltate.
Si prospettava un’estate di ricorsi, invece Massimo Cellino, l’imprenditore che dal 2017 ha rilevato il Brescia dopo essere stato patron di Cagliari, West Ham e Leeds United, ha gettato la spugna. Ha scelto di non rispettare la scadenza per il pagamento degli stipendi ai dipendenti e dei contributi previdenziali, facendo saltare così l’iscrizione al prossimo campionato: un investimento da tre milioni, che in parte sarebbe stato coperto dal paracadute per le squadre che perdono la categoria. Niente risanamento, niente trattative per la cessione, niente attesa per la sentenza della Corte d’appello federale. Cellino, in rotta con la città, ha premuto quel tasto stop su una storia calcistica durata 114 anni.

Le istituzioni locali stanno provando a rimediare ipotizzando il trasferimento del titolo per qualcuna delle società del territorio, Feralpisalò, Lumezzane e Ospitaletto. Intanto, in serie C, altre città che un tempo furono felici e vincenti scompaiono dalla geografia calcistica, spazzate via da debiti e sentenze amministrative: la Spal (19 stagioni in serie A) affossata da Joe Tacopina, la Lucchese (8 anni nella massima serie), forse – perché i versamenti pare siano arrivati in extremis - la Triestina (26 volte in A, la gloria in bianco e nero con Nereo Rocco). Brescia si strugge nel ricordo del tempo in cui la grande bellezza di Baggio e Pirlo (ma c’erano pure Dario Hubner, gli iconici gemelli Filippini, il massiccio Pierpaolo Bisoli, l’emergente Igli Tare) la portò al record dell’ottavo posto in classifica, a pochi passi dall’Europa. Nei sogni dell’annata successiva in cui alla compagnia dei piedi sopraffini si aggiunse Pep Guardiola: appena undici presenze in campo ma un impatto indimenticabile per suggestione e carisma. In quelli della decade precedente quando in panchina c’era Mircea Lucescu e in campo la stella Gheorghe Hagi. Si rivive con la mente l’ultima esperienza nella massima serie, quella del 2019/2020, durata un anno solo ma conquistata dopo aver lanciato l’ultimo gioiellino, Sandro Tonali. Play, rewind. Stop.
La Repubblica