Il nuovo corso della ginnastica


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“Più dei risultati, al nostro sport servivano dei metodi sani”, dice Fabrizia D’Ottavio, argento olimpico ad Atene 2024 e unica vicepresidente donna nella storia della Fgi
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La fotografia del giorno è in poche schiette parole. “Cambiano le squadre, crollano le certezze, se ne costruiscono altre”, dice Fabrizia D’Ottavio. “È un periodo di cambiamento un po’ per tutta la ginnastica italiana. E noi ci stiamo facendo trovare pronti”, primeggiando nel medagliere aggregato – artistica più ritmica – agli Europei di categoria appena svolti tra Lipsia e Tallinn. Con tanto di oro nel team ranking, il primo di sempre per le Farfalle azzurre: dopo i ribaltoni tecnico-gestionali degli ultimi mesi – e annesso polverone mediatico –, era tempo che tornasse a parlare la pedana. E le sue protagoniste. Di oggi e di ieri: D’Ottavio, argento olimpico ad Atene 2004, a marzo è diventata l’unica vicepresidente donna nella storia della Fgi. Una figura di raccordo tra dirigenti e atlete, tra più mondi e generazioni. Nel momento più delicato da connettere.
“Da ex ginnasta, aver vissuto certe esperienze sulla mia pelle può dare alle ragazze più fiducia e tranquillità”, racconta lei al Foglio sportivo. “Si viene a creare un feeling naturale. Un canale di comunicazione limpido e spontaneo, a prescindere dalla compatibilità caratteriale. Tutte sanno che dall’altra parte verranno capite. Per loro è d’aiuto avere un profilo istituzionale che sappia cosa stiano provando. E per me è una sfida continua cercare di captare quegli sguardi, quei silenzi, quelle dinamiche di allenamento, per arrivare prima al fulcro di un problema”. Fabrizia oggi ha 40 anni, aveva smesso di gareggiare nel 2008 e da allora si era concentrata sull’azienda di famiglia. Lontani cerchi e clavette. “Rimettere al centro lo sport è il modo più interessante di riviverlo sotto un altro punto di vista. E capire tante che cose che da atleta – quando correvi col paraocchi: performance, risultati, lavoro – ti interessano poco. Invece, cogliere l’impegno altrui e quel che succede dietro le quinte è un arricchimento enorme. Da non sottovalutare mai”.
Nel corso della chiacchierata aleggia sempre un nome, che a un certo punto si fa: Emanuela Maccarani. Per quasi un trentennio direttrice tecnica della Nazionale, nel segno di straordinari traguardi sportivi. Ma anche al centro di una delicata vicenda giudiziaria, che la vedrà andare a processo per presunti maltrattamenti contro alcune sue ex atlete. Nel frattempo aveva guidato le Farfalle anche a Parigi, fino al bronzo iridato. Soltanto dopo l’insediamento dei nuovi vertici – con Andrea Facci presidente e D’Ottavio vice –, la Federginnastica ha poi deciso all’unanimità di non proseguire il rapporto con Maccarani. Tra mille polemiche e le accuse della medesima. “Ho lavorato con lei per tutta la mia carriera”, riflette ora Fabrizia. “Ho raggiunto determinati risultati insieme al suo team. E come me tante altre. Parlano i fatti: resta una persona tecnicamente preparatissima. E una persona che ha portato l’Italia a intraprendere un percorso di crescita importante, costruendo una vera e propria scuola”, nella prestigiosa sede di Desio. “L’ingresso in Accademia non è mai facile. Si rompono le certezze famigliari, viene meno la routine, subentrano enormi carichi di lavoro. Ci vuole testa: ci si allena, si ingrana la marcia, si fa. Oltre alle sue capacità, Emanuela diceva sempre che l’allenatrice non è una mamma: bisogna saper differenziare. E allo stesso tempo pretendere dalle atlete l’impegno che richiede lo sport ai massimi livelli”. Ma? “Della situazione che si è venuta a creare ho già parlato nelle sedi preposte”, spiega l’ex allieva, senza tuttavia sottrarsi alle domande. “Allo stesso tempo, ho sempre creduto nella non correttezza di alcune metodologie allenamento. Sono consapevole, in base alla mia esperienza da ginnasta, che ci fossero diverse cose che non andavano bene. E che dunque in qualche modo dovevano essere riviste, modificate. Per garantire un tipo di lavoro migliore, non tanto dal punto di vista prestazionale, ma in termini di contesto e qualità della vita delle persone”.
Sono parole che pesano perché D’Ottavio è una voce super partes: da un lato arriva da quel gruppo di dirigenti che Maccarani accusava di dispotismo oscuro – “C’è dietro un disegno molto più grande di me”, diceva anche a questo giornale –, dall’altro rappresenta le atlete. Anzi, di più, visto che l’allenatrice l’aveva condotta sul podio di Atene. Un’esperienza che ancora oggi Fabrizia ricorda come “la più grande che abbia mai provato: quando entri per la prima volta nel villaggio olimpico ti rendi conto di far parte di qualcosa di straordinario, realizzi davvero che ce l’hai fatta. È una presa di coscienza fondamentale, ancora prima della medaglia”. Adrenalina che si tramanda, perché due delle Farfalle premiate a Parigi 2024 – Martina Centofanti e Daniela Mogurean – hanno invece deciso di dire addio alla ginnastica ritmica in seguito al licenziamento di Maccarani (e ringraziandola sentitamente). La faccenda è complessa. “Nessuno qui dice di avere in tasca la verità assoluta”, mette ordine D’Ottavio. “Ciascuno legge la propria esperienza a modo suo. Con la sua personalità, la sua sensibilità e i relativi filtri. Nel mio caso ho un pensiero, piuttosto condiviso: possiamo soltanto mettere insieme il vissuto di tante persone e tenere conto dei determinati atteggiamenti a monte. Che non dovrebbero proprio esserci. È insito nell’atleta agonista essere forte, costruirsi un’armatura psicofisica e schivare ogni tipo di attacco. Non è detto che se una persona reagisce serena a certi meccanismi, poi in fondo non ne soffra. Ci si allena a farsi scudo, si impara a reggere i colpi e si va avanti. Però tutto il contorno esiste”.
E la Federginnastica, è il fulcro del discorso, ha il dovere di tutelare. “Alcune persone hanno sofferto più di altre. È importante sottolineare che se anche qualcuno ha una percezione meno grave dell’accaduto, ciò non deve sminuire le sensazioni negative altrui. Invece spesso si è riscontrata questa dinamica: chi soffriva veniva accusato di non avere ragioni oggettive”, fa notare la vicepresidente. “Ci vuole equilibrio, rispetto di ogni vissuto. E consapevolezza del fattore scatenante: le decisioni giuridiche spettano ad altri, noi siamo state chiamate a raccontare la nostra storia in modo trasparente. E sul lato etico stiamo lavorando per il bene della ginnastica. Vogliamo che il settore continui a crescere, a fare scuola, mettendo le ragazze nelle migliori condizioni possibili. Da ex atleta anch’io voglio questo. Secondo il giusto mix fra dirigenti e tecnici, fra esperienza e innovazione”.
A Desio si cambia pagina, senza stravolgere il corso della storia. “Siamo in piena stagione di gare: l’atmosfera è positiva, con tutte le precondizioni per un progetto di livello – ora affidato a Mariela Pashalieva, nuova allenatrice delle Farfalle – verso il quadriennio olimpico. C’è respiro, c’è libertà, c’è ampiezza di movimento”. Con le porte dell’Accademia – sul finire di maggio, a ridosso degli Europei – aperte per un giorno a tutte le allieve di domani. “Una grande occasione di festa: questo è un luogo magico per tutte le ginnaste d’Italia. Ci teniamo che sia il più possibile di tutti. E nel frattempo fare squadra: lo sport è ciclico, le nuove generazioni vanno preparate”. Quella di Fabrizia, invece? “Sarei sempre pronta a mettere il body e a salire in pedana: alle ragazze di oggi invidio la tecnologia, i social, la possibilità di incorniciare così tanti ricordi che noi al contrario dovevamo selezionare con cura”. Al Panathinaiko di Atene era tornata l’estate scorsa con le sue compagne, a vent’anni da quell’impresa. “Post obbligatorio. E lacrimuccia. Ma va bene così: è bello anche passare all’osservazione. E rendere indietro qualcosa allo sport che amo e che mi ha dato tanto”. Fino a indirizzarne il futuro.
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