L’ultima sera di Spalletti, gli allenatori passano ma il calcio italiano va sempre più giù


Proviamo a rispondere: ma che cosa può succedere ancora di brutto a questa Nazionale?
Ogni volta ci sembra d’aver toccato il fondo, ma poi ci si accorge che ci siamo sbagliati, che il peggio deve ancora venire. Che si può precipitare ancora più in basso.
Dopo aver saltato due Mondiali, con la non remota possibilità di saltarne un terzo, e dopo l’agghiacciante 3-0 con la Norvegia, l’ultima novità per alzare il coefficiente di difficoltà è che stasera giocheremo a Reggio Emilia contro la Moldova con Luciano Spalletti già esonerato. Licenziato ma ancora per una sera in panchina. Nel suo genere, è un record anche questo. Non certo incoraggiante.
La notizia, come sapete l’ha data alla vigilia l’ ex ct quasi con le lacrime agli occhi. “Questa è la mia ultima partita, poi darò l’ok alla risoluzione del contratto. So di aver creato danni al movimento con risultati negativi”. Spalletti ha aggiunto che la notizia gli è stata data dal presidente Gravina. E che lui avrebbe preferito rimanere, ma ne ha dovuto prendere atto. Procederà alla risoluzione del contratto subito dopo la partita con la Moldovia.
Detta in soldoni, Spalletti rinuncia a prendere lo stipendio, una scelta personale, che avrebbe potuto anche non fare. E quindi almeno l’onore delle armi, come si dice, gli va riconosciuto.
Oltre alla disfatta con la Norvegia gli è stata fatale anche un’altra amara percezione: che in 12 mesi, dal crollo con la Svizzera all’Europeo, poco o nulla sia cambiato. Un bilancio mediocre di 4 vittorie, 3 sconfitte e 2 pareggi. Con un’unica vera impennata: il 3-1 in Nations League a Parigi. Per il resto un tirare a campare, con tanti gol subiti (16) e l’impressione di essere sempre in affanno anche con squadre meno titolate che una volta, come la stessa Norvegia, avremmo impallinato con veementi goleade. Vanno ricordati, per onestà, anche il 4-1 con Israele e il 2-2 con il Belgio, nonostante l’espulsione di Pellegrini. Brevi lampi di luce per poi ritornare al buio. Nella notte buia e tempestosa di Oslo.
Un disastro, insomma. Sperando stasera di sfangarcela con la Moldovia (anche se è 158esima nel ranking non è così scontato), e che a Spalletti subentri un “usato sicuro” come Claudio Ranieri, è giusto però ribadire che tutto questo stupore per l’imbarca con la Norvegia, è davvero fuori luogo. Come sono anche ipocriti questi toni sdegnati sulla maglia vilipesa o lo scarso attaccamento dimostrato dai nostri azzurri.
Ma di cosa ci stupiamo? Non abbiamo visto come Acerbi, non proprio un difensore che resterà nella galleria degli indimenticabili, abbia rifiutato la convocazione con un sms? E non abbiamo visto in quali condizioni fisiche e mentali sono arrivati tutti gli altri? Metà pronti per le vacanze, l’altra per l’infermeria. Prosciugati da un calendario folle che moltiplica gli impegni per moltiplicare gli introiti di un calcio che si auto divora fino allo sfinimento.
Ora: di sicuro Spalletti qualche pasticcio l’avrà fatto. Qualcosa gli sarà sfuggito di mano. Con quel suo eloquio sempre un po’ contorto che trasforma in nebulose le cose semplici. E anche certe scelte tattiche difficili da assimilare in tempi rapidi avrebbe potuto evitarle. Però in campo contro la Norvegia non c’è andato Spalletti. Ma li abbiamo visti Barella e company?
Non stavano in piedi, non azzeccavano un dribbling, non osavano mai varcare la metà campo. Se in panchina ci fosse stato Guardiola o Ancelotti sarebbe cambiato qualcosa? Questo è il nostro calcio, sfibrato da una stagione nevrotica e da un campionato dove i giocatori italiani sono quasi un’eccezione.
A parte l’Inter, nelle altre squadre di vertice bisogna cercarli con il lanternino. Soprattutto nei ruoli chiave. Guardiamo il Milan, dove a parlare l’italiano è rimasto solo Gabbia. Anche la Nazionale alla fine ne risente. Se saltano per infortunio quei tre quattro che fanno la differenza, gli altri sono giocatori di seconda fila, poco abituati ai confronti internazionali. Siamo anche molto presuntuosi. E dimentichiamo che noi in campo avevamo Rovella e Udogi, loro invece quel satanasso di Haland e quel talento ubriacante di Nusa, gioiellino della Bundesliga.
Lo dice anche Fabio Capello, bisogna cambiare la mentalità dei vivai, far giocare di più i nostri talenti, obbligare a schierare una soglia minima di italiani nell’undici titolare in tutte le partite. Ma sono prediche inutile. Se Capello avesse fatto lui il ct, prima o poi sarebbe finito come Spalletti.
Come sempre siamo molto teatrali. Inutile strapparci le vesti, gridare allo scandalo per i nostri adolescenti orfani della estati Mondiali. Il problema dell’Italia è che ci sopravvalutiamo. Continuiamo a rifarci a un glorioso passato - le notti magiche, l’urlo di Tardelli, gli occhi spiritati di Totò Schillaci - sparito da un pezzo. L’ultimo vero trionfo, a parte l’improbabile Europeo di Londra, risale a Berlino 2006 con Lippi. E poi? Quanti ct sono saltati strada facendo? Vogliamo parlare di Prandelli dimissionario dopo il flop in Brasile nel 2014? E la cacciata nel ludibrio generale di Giampiero Ventura nel 2017 per il primo mondiale mancato?
E l’imbarazzante balletto con lo stesso Mancini, reo d’aver fatto saltare per la seconda volta consecutiva il Mondiale nel 2022 per quel tremendo spareggio con la Macedonia? E adesso è toccato a Spalletti, pur accolto come l’uomo della provvidenza, arrivato in soccorso alla patria dopo la non esaltante fuga in Arabia del suo predecessore.
Artefice dello scudetto del Napoli, Luciano sembrava l’uomo giusto al posto giusto. Un vincente, un allenatore che ha girato il mondo e fatto bene perfino in una piazza difficile come Roma. Dopo neanche un anno, da questa avventura ne esce a pezzi, cacciato con le lacrime agli occhi da un Presidente, Gabriele Gravina, abilissimo ad evitare ostacoli e dimissioni, nonostante un Mondiale perso per strada e un ultimo Europeo da museo degli errori.
Gli allenatori passano e Gravina resta, pur con la crescita dell’indebitamento del calcio italiano e la decrescita del rispetto dei club verso la Nazionale, considerata una residuale Cenerentola che deve prendere quello che le passa il ricco e indebitato convento del campionato.
Se vogliamo davvero ripartire, dobbiamo farlo senza raccontarci più bugie, consapevoli dei nostri attuali limiti. Se invece, per consolarci, continueremo a raccontarci quanto eravamo bravi, rischieremo di schiantarci ancora.
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