Devastante, ma invisibile. La crisi del Sudan ci riguarda

Intersos ha ripreso gli interventi umanitari in Sudan nel giugno del 2024 ed è presente in Darfur nell’ovest, oltre che nell’est del Paese martoriato da una guerra civile devastante scoppiata nell’aprile del 2023. A ricordarci come quella sudanese non sia una crisi lontana Alda Cappelletti, senior humanitarian Advisor di Intersos che ha coordinato l’incontro “Il Sudan non è una crisi lontana” in occasione del Meeting in corso a Rimini.
Una crisi che ha già causato 14 milioni di sfollati. La scorsa notte sulla nave umanitaria umanitaria Ocean Viking dell’ong Sos Mediterranee che «è stata deliberatamente e violentemente attaccata in acque internazionali dalla guardia costiera libica che ha sparato centinaia di colpi contro la nostra nave», scrive l’organizzazione, la maggior parte degli 87 sopravvissuti sono sudanesi.
«Oggi il nostro personale locale è di circa un centinaio di persone, mentre lo staff internazionale ne conta meno di dieci» precisa a VITA Cappelletti. L’ong in particolare è impegnata nell’aiuto sanitario e nella protezione umanitaria.

«Sono due anni che i bambini non vanno a scuola, il sistema sanitario è al collasso ed è in corso un’epidemia di colera» continua Cappelletti, mentre espone i numeri della crisi generata dallo scontro militare che in poco più di due anni ha portato a 14 milioni di sfollati e 4 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi, realtà già fragili come il Sud Sudan e il Ciad.
«È una crisi multistrato che ha radici etniche e sociali e che sta portando a un effetto domino regionale» che però, sottolinea ancora la rappresentante di Intersos non è in realtà «un’emergenza lontana» come sembrano percepirla molti occidentali.
Quella che è la «crisi peggiore al mondo», come l’ha definita Irene Panozzo, analista politica e consulente, sembra non godere di una grande attenzione. Nella disattenzione generale verso l’Africa, non bisogna dimenticare che il Sudan non è poi così lontano come si potrebbe credere: si affaccia sul mar Rosso e confina con l’Egitto che è dall’altra parte del Mediterraneo.
«È una crisi difficile da raccontare perché non ci sono i classici buoni o cattivi. Le due parti combattenti le Forze Armate Sudanesi -Saf e le Rapid Support Forces- Rsf facevano parte entrambe del regime di Omar al-Bashir (caduto nel 2019)» precisa Panozzo. «Le Rsf sono eredi delle milizie Janjaweed, sono state trasformate in forza paramilitare con accesso a risorse economiche, traffici e mercenari. La caduta del regime nel 2019 non ha eliminato queste strutture, anzi ha esacerbato tensioni latenti». Panozzo ha aggiunto che il conflitto è aggravato da «forti squilibri economici, il controllo delle miniere d’oro, il ruolo di potenze regionali come Emirati e Arabia Saudita, e fratture etniche e territoriali che segnano la storia sudanese».
Dalla sede di Addis Abeba, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo-Aics continua a supportare la popolazione sudanese, ricorda Michele Morana, competente per l’Etiopia, l’Eritrea, il Sudan, il Sud Sudan e il Gibuti. «Dall’Etiopia seguiamo i progetti che realizziamo con le organizzazioni della società civile. Nel corso degli anni abbiamo creato una rete con gli operatori che ci permette di portare avanti interventi di sviluppo e resilienza», precisa Morana nel sottolineare anche il supporto che si cerca di portare ai rifugiati che si trovano nell’area del Tigrai, già di per sé fragile.
«È straordinario essere qui in Italia in pieno agosto a parlare di Sudan e della sua crisi dimenticata» sono le prime parole di Valerie Guarnieri, assistant executive director, Programme Operations, Wfp (il programma mondiale contro la fame dell’Onu) che ha parlato della gravissima crisi alimentare in corso nel Paese. «Nessuno è più a rischio della popolazione sudanese è difficile raggiungere i rifugiati. In Darfur la carestia è già realtà. Abbiamo visto convogli di aiuti attaccati con droni, autisti uccisi, città come Al-Fasher isolate e sotto assedio. Le persone sono costrette a nutrirsi di rifiuti o animali domestici pur di sopravvivere». Guarnieri ha inoltre denunciato l’insufficienza dei fondi e l’ostacolo dell’accesso umanitario.
Nel suo intervento Marco Rusconi, direttore dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo che ha voluto ricordare che: «Il Sudan rimane un Paese prioritario per la Cooperazione Italiana. Non si tratta solo di interventi emergenziali, ma di rafforzare le basi per un futuro di pace e sviluppo. Continuiamo a lavorare con un approccio che unisce neutralità, presenza capillare e sostegno alla società civile».
«Abbiamo chiuso la sede dell’agenzia a Khartum, ma non la cooperazione grazie a un approccio flessibilizzato», ha aggiunto ricordando tra le tante realtà anche la presenza dell’ospedale di Emergency. «Il nostro sistema di cooperazione è fatto di istituzioni, ong, missionari, università e società civile. È una forza unica che ci permette di essere presenti dove altri si ritirano».«Nessuna crisi è lontana e il Sudan ci chiede di non distogliere lo sguardo», ha concluso il direttore dell’agenzia.
Guarnieri ha invitato i presenti a rizzare le antenne e lasciarsi coinvolgere, anche sostenendo economicamente chi aiuta la popolazione: «Se un milione di persone dona un dollaro, noi possiamo donare un milione di dollari». Da Irene Panozzo è arrivato poi l’invito a scoprire le tante storie di resilienza della società civile sudanese, la stessa che ha favorito la caduta del regime di Omar al-Bashir e che grazie alle community kitchen supporta la stessa popolazione: «C’è come un blackout dovuto anche all’assenza di internet in diverse parti del Paese»
Foto: sfollati interni camminano lungo una strada di Juba, Sud Sudan/AP/Brian Inganga/LaPresse
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