Mediterranea, Beppe Caccia: «Abbiamo disobbedito al Viminale per obbedire alle leggi dell’umanità»

Sono oltre 30 i migranti che solo negli ultimi giorni hanno perso la vita lunga la rotta del Mediterraneo centrale. Alle ore 20:45 del 25 agosto la nave dell’ong Mediterranea ha attraccato, dopo un salvataggio in mare, al porto di Trapani, disobbedendo all’ordine del Viminale di dirigersi a Genova per far sbarcare con urgenza le dieci persone che aveva soccorso. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità», dice Beppe Caccia capomissione di Mediterranea.
La logica e la politica dei porti lontani è disumana
Da due anni e mezzo si è consolidata la prassi da parte del ministero dell’Interno di assegnare alle navi che fanno ricerca e soccorso in mare porti sempre più lontani dal punto di salvataggio: questa è una cosa preoccupante. Abbiamo una storia importante per quanto riguarda il soccorso in mare istituzionale in Italia, che è stato il ruolo della Guardia Costiera. La Guardia Costiera soccorre in mare decine di migliaia di persone ogni anno, ha un centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, l’Mrcc di Roma, che è a norma delle convenzioni internazionali e della legge nazionale, l’organismo deputato alla gestione delle emergenze in mare dalla a alla z. Ma noi come ong ormai, da due anni e mezzo, appunto, assistiamo a questa anomalia che è fuori da qualsiasi cornice del diritto marittimo internazionale e nazionale, in cui l’ultima parola sull’assegnazione del porto di sbarco, dopo l’effettuazione di un soccorso, è in capo al Ministero dell’Interno. E quindi, invece di avere la Guardia Costiera, il centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma, a gestire dalla a alla z un evento di soccorso in mare, c’è un intervento che non è legittimato da nessuna norma di legge o convenzione nazionale o convenzione internazionale, da parte del ministero dell’Interno. Questo ha fatto sì che sia stata introdotta e si sia consolidata una prassi, quella che chiamiamo dei porti lontani, che è una prassi gravemente discriminatoria e lesiva dei diritti fondamentali delle persone che sono soccorse in mare. Insisto sull’aspetto discriminatorio perché lo sbarco in un porto lontano viene deciso solo quando le persone sono state soccorse o da una nave della flotta civile o da una nave mercantile.
Così si colpiscono le persone e le ong
Queste politiche vanno sempre a discapito delle persone. La categoria delle navi della flotta civile viene colpita in maniera del tutto arbitraria per ostacolarne l’attività. Questa pratica è diventata intollerabile. Parliamo di porti assegnati lungo l’Adriatico o lungo il Tirreno, al Nord. A noi, per esempio, era stato assegnato il porto di Genova. Abbiamo effettuato il soccorso nelle prime ore del mattino di giovedì. Questo porto distava 690 miglia nautiche dalla nostra posizione, parliamo di circa 1.242 chilometri. La nostra nave ha una velocità di crociera di sette nodi, vuol dire sette miglia all’ora: per trasportare le persone soccorse sarebbero stati necessari cinque giorni di navigazione. Ora, il punto non riguarda la nostra nave, il punto riguarda le condizioni di salute fisica e psichica, i diritti, la dignità delle persone soccorse. Persone che – ricordiamolo – hanno già sofferto molto.
Chi sono le persone che avete salvato?
Nel nostro caso dieci ragazzi. Ragazzi che provengono da contesti pesantissimi. Giovani curdi, iraniani, iracheni, siriani, egiziani. Contesti dove le minoranze sono perseguitate, dove c’è la guerra civile, la repressione politica. Ragazzi che hanno passato mesi, alcuni anni, in quell’inferno che si chiama Libia. Arrivano dai campi di detenzione e sul loro corpo, ma ancora di più sulla loro anima, portano i segni indelebili delle torture inaudite. Parliamo di cicatrici sulla pelle, di cicatrici profonde nello spirito, di violenze, abusi. Queste persone hanno fatto un’esperienza terribile nella notte tra mercoledì e giovedì, perché sono stati caricati a forza dai trafficanti su questa imbarcazione, hanno visto a poca distanza dalla costa morire quattro ragazzi, quattro compagni di viaggio che, caduti da un’altra imbarcazione, non sono stati recuperati dai trafficanti che li hanno abbandonati ad affogare in mare. Poi quando l’imbarcazione dei trafficanti si è avvicinata alla nostra nave, hanno subito un’ulteriore violenza: a calci e pugni sono stati gettati in mare come se fossero dei sacchi della spazzatura. Parliamo quindi di persone altamente vulnerabili, fortemente traumatizzate. Si può imporre la sofferenza di altri cinque giorni di mare, con tutto quello che può evocare il mare? Quando abbiamo superato l’isola di Pantelleria per attraversare il canale di Sicilia, c’era forte vento, vento di maestrale, e onde tra i due e i tre metri. Questi ragazzi hanno rivissuto il trauma della notte del naufragio. Ora c’è solo una domanda da porsi.
Quale?
Perché un ministro dell’interno si vendica con dei ragazzini di non so che cosa? Perché dobbiamo accettare che le persone siano trattate come pacchi o per citare lo stesso ministro come “carichi residui”. Perché dobbiamo accettare che qualsiasi elementare norma venga violata per fare violenza a delle persone solo perché sono migranti, rifugiati, profughi? Ma cos’è diventato questo Paese? È cattivo e odioso il clima che si respira con le sistematiche campagne di criminalizzazione delle persone migranti e del soccorso in mare.
Il vostro è stato un atto di disobbedienza civile
Non abbiamo fatto niente di strano. Solo obbedito alle leggi etiche dell’umanità. Le persone soccorse avevano bisogno di cure immediate, mediche e psicologiche, che potevano essere fornite solo a terra.
Vi aspettate delle conseguenze?
Ci saranno delle conseguenze e le affronteremo con grande serenità, a testa alta, consapevoli delle responsabilità che ci siamo assunti, consapevoli che la nostra prima responsabilità era nei confronti di queste persone, non nei confronti di ordini ingiusti e inumani che venivano dal ministero degli Interni. Vedremo chi è il criminale.
La scorsa notte la nave umanitaria Ocean Viking dell’ong Sos Mediterranee che è stata deliberatamente e violentemente attaccata in acque internazionali dalla guardia costiera libica
Centinaia di colpi sparati a raffica direttamente sugli oblò del ponte della nave. Anche noi abbiamo avuto intimidazioni e minacce da parte di imbarcazioni delle milizie libiche. Milizie che sono ufficialmente sostenute e finanziate dal governo italiano e dalle istituzioni europee. A questi criminali è stato delegato, mi verrebbe da dire subappaltato, il controllo della frontiera marittima dell’Unione Europea nel Mediterraneo. Questi signori evidentemente si permettono un’escalation di violenza – sono state sfiorate nel giro di una settimana almeno tre tragedie da questo punto di vista – probabilmente perché qualcuno, liberando – nonostante il mandato di cattura della Corte Penale Internazionale per gravi crimini contro l’umanità, uno dei capi di questa milizia, il cosiddetto generale Almasri – ha dato un segnale di immunità e impunità a questi criminali. Non riesco a spiegarmelo altrimenti questo crescendo di violenze che c’è stato da parte delle milizie libiche in mare.
Credit foto Mediterranea
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