Procida soffoca nei fumi,ma la legge dorme fino al 15 giugno. Ma poi i controlli?



Leo Pugliese | Le finestre sono aperte da settimane. Il caldo è esploso con largo anticipo, come succede ormai da anni, ma l’aria che entra nelle case non è quella salmastra e leggera che ci si aspetta su un’isola. È un’aria pesante, irrespirabile, intrisa dell’odore acre dei fumi che si levano da orti, giardini e fondi agricoli, dove qualcuno continua imperterrito a bruciare sterpaglie, foglie secche, residui vegetali.
E mentre i cittadini si tappano in casa – o peggio, finiscono in ospedale per crisi respiratorie causate da questi roghi – la normativa resta immobile, cristallizzata in una data simbolica quanto inefficace: il 15 giugno, giorno in cui entra in vigore il cosiddetto periodo di grave pericolosità per incendi boschivi.Ma cosa significa questa data per chi vive su un’isola come Procida? Nulla. Assolutamente nulla. Perché qui, tra case strette, piccoli appezzamenti di terra e giardini confinanti con le abitazioni, non esiste una distanza di sicurezza che permetta a qualcuno di bruciare senza disturbare gli altri. Ogni fuoco acceso è un attacco diretto alla salute pubblica. Eppure, fino al 15 giugno, tutto sembra tollerato. Inaudito.

Negli ultimi anni si sono registrati casi documentati di cittadini costretti al pronto soccorso per aver inalato questi fumi tossici. Non parliamo quindi di fastidi temporanei, ma di un rischio reale per la salute, soprattutto per chi soffre di patologie respiratorie, anziani, bambini. E nonostante questo, il problema si ripresenta puntuale ogni anno, come un copione già scritto a cui ci si è tristemente abituati.Ben vengano i divieti, ben venga il decreto regionale che, nero su bianco, vieta l’accensione di fuochi, l’abbruciamento di sterpaglie, l’utilizzo di lanterne volanti e fuochi d’artificio a meno di un chilometro dalle aree boschive. Sono misure sacrosante. Ma da sole non bastano. Perché un divieto non è tale se nessuno lo fa rispettare, se non ci sono controlli, se le sanzioni rimangono sulla carta.
Procida come del resto anche la vicina Ischia, è una realtà particolare, piccola, densamente abitata, in cui il verde privato spesso confina con le abitazioni. Non si può applicare la stessa logica che vale per le grandi aree rurali dell’entroterra. Qui ogni accensione di fuoco è un attacco diretto alla collettività. Eppure, le segnalazioni finiscono spesso nel vuoto, le autorità intervengono tardi o non intervengono affatto, e i cittadini si sentono – giustamente – abbandonati.
È ora di cambiare approccio. Serve una revisione seria delle tempistiche: non si può più aspettare metà giugno per riconoscere un rischio che si manifesta già a maggio, se non ad aprile. Serve un piano locale di prevenzione, che tenga conto delle specificità territoriali e climatiche. E soprattutto, serve una macchina dei controlli che funzioni, perché se i divieti non vengono fatti rispettare, diventano solo carta straccia.
Il diritto a respirare aria pulita non può essere subordinato a un calendario. Non può dipendere dalla sensibilità – o dall’ignoranza – del vicino di casa. È un diritto fondamentale. E quando la legge non lo protegge con tempestività, diventa complice del problema.Procida, come tanti altri territori campani, non può più aspettare. Serve un cambio di passo. Subito.
Il Dispari