Tre interventi per dimagrire, ma il risultato è un disastro: schiena asimmetrica e solchi all’addome


Il Tribunale parla di “peggioramento morfologico” (Foto di repertorio)
Perugia, 30 ottobre 2025 – Aveva pagato 7.500 euro per sentirsi più bella, per togliere i chili di troppo da fianchi, pancia e schiena, pronta ad affrontare la prova costume con un corpo più armonioso. Invece, dopo tre interventi di chirurgia estetica in un anno, si è ritrovata con l’addome segnato da solchi, la schiena asimmetrica e la fiducia a pezzi. Il Tribunale civile di Pesaro le ha dato ragione: il chirurgo plastico e le due cliniche umbre che l’hanno operata sono stati condannati in solido a risarcirle 6.985 euro, oltre alla restituzione delle somme versate (7.400 e 602 euro).
Tutto comincia nel novembre 2020, quando la 40enne, che nella causa legale è stata assistita dall’avvocato Silvia Pezzolesi, si rivolge a un chirurgo estetico di Perugia per migliorare l’aspetto del corpo. Voleva rimettersi in forma, tornare a piacersi. Il medico le propone una lipoaspirazione in due fasi con una tecnica definita micro-invasiva e innovativa. Il primo intervento, da 4.000 euro, si svolge il 19 gennaio 2021: lipoemulsione ultrasonica di fianchi e schiena. Dopo un mese e mezzo, però, la donna non vede alcun miglioramento, anzi nota un’asimmetria del dorso. Il chirurgo la rassicura e le propone il secondo intervento, il 15 marzo 2021, da 3.500 euro, sull’addome. Ma anche stavolta la donna “non notava miglioramenti nell’aspetto fisico - scrive la giudice -, né in punto rimodellamento, né come variazione di taglia, anzi riferendo di vedere addirittura il proprio addome peggiorato per la presenza di due solchi precedentemente assenti”.
Nonostante le delusioni, la donna accetta un terzo intervento, il 10 gennaio 2022, con una nuova tecnologia, in un’altra clinica privata di Perugia. Costo: 1.800 euro. Doveva essere risolutivo. Ma il risultato, anche stavolta, secondo la donna è un disastro: “Depressioni addominali ancora più evidenti – si legge nella sentenza – e antiestetiche”. Provata anche psicologicamente, la paziente interrompe i rapporti con il chirurgo e si rivolge a una consulente medico-legale. La perizia conferma che il sanitario non l’aveva informata dei limiti della tecnica scelta e delle alternative più efficaci, come l’addominoplastica, che avrebbe garantito un miglior risultato. In altre parole: la donna non sarebbe stata messa in condizione di scegliere consapevolmente. La giudice del tribunale civile di Pesaro, nella sentenza del 28 ottobre scorso, parla di “peggioramento morfologico” riconoscendo il danno estetico.
Per questo il Tribunale ha condannato medico e cliniche per inadempimento e carente informazione, chiarendo che il consenso informato deve spiegare anche i limiti concreti dell’intervento. “In sostanza – scrive la giudice -, il miglioramento del proprio aspetto fisico, che è il risultato che il paziente intende raggiungere con l’intervento, acquista un particolare significato nel quadro dei doveri informativi cui è tenuto il sanitario, anche perché soltanto in questo modo il paziente è messo in grado di valutare l’opportunità o meno di sottoporsi all’intervento di chirurgia estetica”.
La Nazione




