Il referendum ha perso, ma la lotta politica si è riaperta

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Il referendum ha perso, ma la lotta politica si è riaperta

Il referendum ha perso, ma la lotta politica si è riaperta

I risultati del voto

Resta il Jobs Act. E dal voto sugli stranieri emerge un’ Italia largamente xenofoba anche nelle sue componenti anti-destra. Poi c’è la speranza che viene da piazza San Giovanni

Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Il fine settimana, sul piano politico, ci ha offerto quattro risultati importanti. Due negativi e due incoraggianti. Il risultato più evidente e che fa esultare – però un po’ a sproposito – la destra, è il fallimento dei referendum. Non si è raggiunto il quorum che era necessario perché fossero validi. E dunque gli obiettivi di giustizia sociale e di difesa dei lavoratori che avevano fissato i promotori non sono stati raggiunti. Erano obiettivi molto importanti.

Il primo era il ridimensionamento del Jobs act, cioè della legge che una decina d’anni fa aveva smontato lo statuto dei lavoratori avviando un processo di fortissima riduzione del potere dei lavoratori e di conseguenza dei loro salari. Il secondo era un segnale di apertura ai migranti che da diversi anni vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia, e però non hanno la cittadinanza e dunque i diritti degli italiani (compresi quelli che le tasse non le pagano e se ne approfittano dalle tasse pagate dagli stranieri). Diciamo che la caduta di questi referendum è abbastanza grave, e che l’Italia è chiamata a pagare un prezzo piuttosto alto. Quando scrivo l’Italia esagero: il prezzo lo pagheranno solo i lavoratori, soprattutto i lavoratori dipendenti, e gli immigrati regolari. Succede così non di rado, quando c’è una crisi o una sconfitta della sinistra: pagano i più deboli.

Il secondo risultato però è incoraggiante. Hanno votato più di 15 milioni di persone. Una cifra notevole, se pensate che ad esempio ai referendum sulla giustizia, che si sono svolti solo tre anni fa e che furono promossi dalla Lega di Salvini, non andarono a votare nemmeno 10 milioni di persone. Eppure quei referendum si svolsero in coincidenza con il primo turno delle elezioni amministrative in oltre cento comuni tra i quali molti comuni grandi, mentre questo referendum è stato intenzionalmente abbinato al secondo turno al quale erano chiamati a votare poche centinaia di migliaia di elettori. Chissà perché Salvini parla di clamorosa sconfitta della sinistra. Non disse così quando caddero i suoi referendum. Di questi 15 milioni, circa 13 milioni hanno risposto sì ai quesiti sul lavoro. E siccome i referendum erano stati notevolmente politicizzati dai partiti di governo, persino dalle istituzioni (Palazzo Madama, Palazzo Chigi) è abbastanza evidente che il voto “” ha avuto un valore nettamente antigovernativo. Di questo la destra dovrà tenere conto. C’ha poco da esultare: 13 milioni di sì sono più dei 12 milioni e trecentomila voti che lo schieramento del centrodestra raccolse alle ultime elezioni del 2022. E sono anche più degli 11 milioni e mezzo raccolti nel 2022 dai partiti che ieri sostenevano il “Sì” al referendum (Pd, sinistra, 5 stelle e radicali).

Naturalmente non c’è niente da fare: il referendum è una di quelle competizioni che dà due sole possibilità: o lo vinci o lo perdi. E purtroppo stavolta è stato perso. Questo però non vuol dire che dai movimenti elettorali non si possano trarre delle conseguenze. Se è vero che comunque i voti realmente espressi sono più pesanti di tanti discutibilissimi sondaggi. E la fotografia che viene da questi referendum è quella di un elettorato spaccato in due, con un campo di centrosinistra più Cinque stelle che al momento raccoglie più voti dello schieramento governativo. Tenendo conto, oltretutto, del fatto che poi ci sono i voti dei centristi, e cioè di Renzi e Calenda, che non si sono sommati a quelli di sinistra e Cinque Stelle ma in futuro potrebbero farlo. Diciamo che l’impressione è che l’esito delle elezioni politiche del 2027 non è affatto scontato.

Il referendum sulla cittadinanza

Il terzo risultato, terribile, è quello del referendum sulla cittadinanza alle persone straniere che vivono in Italia da più di cinque anni. Qui l’esito del voto è molto negativo. In termini di votanti non ci si discosta dai referendum sul lavoro. In termini di voti sì. Ai referendum sul lavoro la stragrande maggioranza ha votato “sì”. Ai referendum a favore degli stranieri quasi il 40 per cento di elettori, presumibilmente di sinistra o Cinque Stelle, ha votato no. Circa 5 milioni di voti appartenenti ai partiti di opposizione sono stati espressi contro la cittadinanza agli stranieri. Probabilmente gran parte di questi voti vengono dagli elettori dei Cinque Stelle. Il capo dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, aveva indicato il “sì” ai referendum sul lavoro ma non al referendum sugli stranieri.

È un problema? È un problema grandissimo, perché segnala una differenza netta di opinioni tra gli elettori anti-destra su un tema tutt’altro che secondario. Nel 2025 è impossibile costruire un sentire comune di popolo che sia la base alla candidatura al governo di uno schieramento, bypassando una questione fondamentale di civiltà come è la questione dell’accoglienza degli stranieri. Su tanti altri temi sono possibili compromessi, accordi, tattiche. Su questo no. O tu pensi che gli esseri umani siano tutti uguali, oppure pensi che esistano gli italiani e poi gli altri, e che non sia giusto riconoscere diritti uguali. Quanti sono gli elettori italiani che riconoscono il principio dell’uguaglianza tra gli esseri umani? Il referendum ha detto: non più del 20 per cento. E di questo “tesoretto” di circa 10 milioni di persone una parte molto consistente è formata dagli elettori più vicini alla Chiesa cattolica, poi c’è una discreta percentuale di ex comunisti, una più ridotta percentuale di ex socialisti, e le piccole ma combattive pattuglie liberali (dico liberali quelli veri) e radicali. La destra è ben consapevole di questo vantaggio. La sinistra a volte – non solo in Italia – si fa prendere dalla tentazione di dire: “inseguiamoli, accontentiamoli”. Dico: accontentiamo gli xenofobi. Se non resiste a questa tentazione non solo si perde, perché si sgretolano tutti i suoi valori, ma fa un danno immenso alla storia d’Italia. Già, la sinistra ha sulle sue spalle questo macigno: tocca a lei, sfidando l’impopolarità, difendere i pilastri della nostra civiltà occidentale.

La manifestazione per Gaza

Ultimo risultato del fine settimana, che però non c’entra coi referendum, è il clamoroso successo della manifestazione di Roma contro l’aggressione israeliana al popolo della Palestina. È stata, credo, la manifestazione di piazza più grande degli ultimi dieci anni. Piazza San Giovanni, la mitica piazza San Giovanni di Roma, è tornata a riempirsi. Verso le quattro del pomeriggio di sabato, sotto un sole che poteva cuocere un bue, migliaia di persone cercavano di entrare nella piazza che ormai però era troppo piena. Non c’è stato un solo slogan antisemita. Non c’è stato nessun gesto violento. Tutto in ordine. Un corteo combattivo, anche sdegnato, ma capace di controllarsi magnificamente. Persino i grandi giornali, che fino a qualche settimana fa erano schierati ad “autoblindo” con Netanyahu, se ne sono accorti e si sono stupiti.

È la passione politica che torna. Che riconquista le strade. Che esce dai social e dal virtuale. Un segno di grande vitalità. Se non si spegne, questo spirito diventa contagioso. Mobilita, mette sul campo idee diverse. Costringe la politica vuota e triste di questi anni a tornare politica politica. È l’unica via per spazzare il campo dai populismi. I populismi non si sconfiggono con l’establishment: si battono a piazza San Giovanni.

l'Unità

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