L’alta moda è il nuovo schiavismo: lavoratori sfruttati e sottopagati dalle case del lusso

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L’alta moda è il nuovo schiavismo: lavoratori sfruttati e sottopagati dalle case del lusso

L’alta moda è il nuovo schiavismo: lavoratori sfruttati e sottopagati dalle case del lusso

Il caporalato di lusso

Operai da un mese e mezzo senza stipendio, migliaia di aziende eludono sistematicamente controlli insufficienti. Il governo tutela i marchi e ignora chi lavora

Photo credits: Imagoeconomica via Elena Mirò
Photo credits: Imagoeconomica via Elena Mirò

Mi ricordo quando uscì il libro Gomorra. Oggi per molti è un riferimento di cultura pop. Invece, era altro: era un romanzo inchiesta su un intero sistema economico basato sull’illegalità. Il secondo capitolo si intitolava Angelina Jolie. Raccontava che il tailleur bianco indossato dalla diva agli Oscar del 2001 era stato cucito da un sarto di nome Pasquale, che lavorava in nero in uno stabilimento clandestino di Arzano.

In quegli anni e con quel libro emersero le ambiguità del concetto di Made in Italy. Un concetto basato sul “criterio dell’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale”: basta che un prodotto sia ultimato in Italia per risultare come fabbricato nel Paese. Ma intanto, la sartoria d’eccellenza per i grandi marchi è realizzata in condizioni di miseria umana e imprenditoriale. Gomorra, attraverso la voce di Saviano, non si limitava a raccontare la camorra: smascherava un intero sistema economico fondato sull’illegalità, dove il lusso globale si reggeva sul lavoro invisibile e sfruttato di artigiani senza diritti. Il racconto di Pasquale non era un’eccezione, ma la regola di una filiera che si estendeva da Secondigliano a Milano, da Arzano a Parigi. E quel tailleur, simbolo di eleganza hollywoodiana, diventava il manifesto di una vergogna cucita a mano.

Sono passati tanti anni. Che cosa è cambiato? Quel sistema produttivo fondato sull’illegalità, sullo sfruttamento e sull’invisibilità dei lavoratori è ancora tra noi, più sofisticato, più silenzioso, più protetto di prima. Alviero Martini, Armani, Dior, Valentino, Loro Piana, Tod’s: si susseguono inchieste su brand della moda di lusso che affidano la produzione a ditte che sfruttano i lavoratori. È emersa chiaramente l’ipotesi di una catena di subappalti che arriva a opifici clandestini. Prodotti realizzati con manodopera impiegata senza soluzione di orario, con paghe irrisorie al di sotto dei minimi tabellari del CCN. Sulla base di un vero schiavismo, si fabbricano oggetti di lusso a un costo di produzione bassissimo. Oggetti poi venduti a migliaia di euro.

Tante volte ho denunciato su queste pagine, ma soprattutto in Parlamento, che dal settore del tessile, della moda del lusso emergono gravi forme di caporalato. Eppure, i grandi marchi continuano a non risponderne. All’Alba di Prato, Patrizia Pepe si nasconde e rifiuta di sedersi al tavolo di filiera, di fronte a operai da un mese e mezzo senza lavoro e da luglio senza stipendio. Eppure, il governo non solo non vede, non sente e non parla. Non solo lascia correre di fronte a condizioni di lavoro ottocentesche e di para-schiavitù. A migliaia di aziende che eludono sistematicamente controlli insufficienti.

Ha saputo fare di peggio: promuovere la scomparsa della responsabilità civile e sociale del committente. Un avanzamento conquistato con la legge 231 del 2001. Con la cosiddetta “filiera della moda certificata”, ha introdotto la deresponsabilizzazione delle imprese committenti, invece di introdurre più controlli e responsabilità chiare lungo tutta la filiera. La destra ha dunque scelto da che parte stare: tutrice della reputazione dei marchi, ma non dei diritti di lavoratori e lavoratrici. Ho chiesto al Ministro Urso e alla Ministra Calderone di risponderne in Parlamento e davanti al Paese, perché credo che non ci sia nulla di più urgente, oggi, che restituire trasparenza, giustizia e umanità a ciò che chiamiamo eccellenza italiana. Attendiamo risposte.

l'Unità

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