La rivincita dei Carabinieri: esclusi dal caso Almasri hanno scoperchiato le bugie del governo

L'evasione del tagliagole libico
La “fattiva e puntuale collaborazione” dei carabinieri che ha permesso ai giudici di scoperchiare le bugie del governo su Almasri

Estromessi dai tavoli in cui si decideva il destino di Osama Almasri, i carabinieri sono i veri protagonisti dell’indagine che ha scoperchiato le bugie e le falsità da parte del governo per coprirne la fuga a Tripoli. Il Tribunale dei ministri di Roma, composto dalle giudici Maria Teresa Cialoni, Donatella Casari e Valeria Cerulli, ha infatti deciso di affidare il fascicolo ai carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Roma, comandato dal colonnello Dario Ferrara, e non al personale in servizio presso la Sezione di polizia giudiziaria della Procura o alla stessa Polizia, essendo coinvolto il capo del Dipartimento della pubblica sicurezza, il prefetto Vittorio Pisani.
Le indagini, quanto mai complesse, hanno permesso di appurare che per decidere la sorte di Almasri ci furono ben tre riunioni, la prima già il 19 gennaio, a poche ore di distanza dal fermo del generale libico a Torino. Di queste riunioni, non coperte dal segreto di Stato, non esiste però alcun verbale o trascrizione. Ad oggi, addirittura, non è ancora chiaro se siano avvenute in presenza o in collegamento da remoto. Per sapere cosa avvenne ci si è dovuti affidare alle testimonianze dei partecipanti. Testimonianze, per utilizzare le parole delle magistrate, che “pur se non possano dirsi senz’altro mendaci, risultano in certa misura reticenti e contraddittorie”. Come riportato ieri su questo giornale, un ruolo centrale lo ha avuto il direttore dell’Aise, il generale dell’esercito Giovanni Caravelli, promosso lo scorso anno prefetto dal governo Meloni. Fu proprio Caravelli a raccontare che dai suoi canali a Tripoli e da contatti istituzionali, fra cui con la stessa Rada Force di cui faceva parte Almasri, stava montando in Libia una certa agitazione a seguito del fermo di quest’ultimo e che aveva quindi ritenuto necessario riportare tali informazioni ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai Servizi. Queste considerazioni furono esternate in una maxi riunione, fissata il 19 gennaio, alla quale sarebbero stati presenti, oltre a Mantovano, i ministri dell’Interno e degli Esteri con i rispettivi capi di gabinetto, il capo della Polizia, il direttore generale del Dis, il prefetto Vittorio Rizzi, e Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della giustizia Carlo Nordio. Medesima compagine anche nelle successive riunioni del 20 e 21 gennaio.
Stranamente non era presente il capo del Dipartimento dell’amministrazione della giustizia di via Arenula, Luigi Birritteri, che aveva preparato il provvedimento da far firmare a Nordio per trattenere Almasri in Italia, ed il comandante generale dell’Arma, il generale Salvatore Luongo, in considerazione che i carabinieri da anni provvedono alla formazione delle citate milizie libiche, oltre ad occuparsi della sicurezza dell’ambasciatore a Tripoli e del personale dell’Ambasciata. Tornando comunque alla Rada Force, che dipendeva come polizia giudiziaria dall’Ufficio del Procuratore generale libico a Tripoli, operava nei quartieri nevralgici della Capitale ed aveva la responsabilità dell’aeroporto di Mitiga. A Tripoli gestiva il carcere speciale di detenzione, sito nei pressi del predetto aeroporto. Come riferito sempre da Caravelli, l’Aise “aveva una collaborazione molto proficua con la Rada in materia di contrasto ad attività criminose dì vario genere, con particolare riferimento a quelle legate ai traffici di esseri umani, oli combustibili e stupefacenti, o attività terroristiche ed aveva collaborato anche nell’individuazione di un latitante”. A domanda, Caravelli rispondeva però “di non aver ricevuto notizia di specifiche minacce di attentati o atti di rappresaglia di cittadini italiani in Libia ma che c’era molta agitazione” .
A fronte allora dei paventati pericoli, Caravelli dichiarava che i Servizi non avevano ritenuto percorribili soluzioni alternative, quali ad esempio il rimpatrio dei cittadini italiani in Libia, “perché ciò avrebbe richiesto dei tempi più lunghi di realizzazione e comunque, una simile operazione avrebbe potuto essere ostacolata dalla Rada che aveva il controllo dell’aeroporto”. In ogni caso, sarebbero “rimasti esposti a possibili ritorsioni gli interessi stanziali in Libia”. In riferimento alla richiesta di estradizione libica di Almasri, Caravelli riferiva poi di averne parlato con Mantovano nonché con l’Ambasciata libica, la quale aveva confermato che la medesima richiesta era stata inoltrata al Ministero degli esteri italiano. Le indicazioni di Caravelli, alla luce di quanto poi accaduto, paiono quindi essere state determinanti ai fini della decisione di non procedere al fermo di Almasri.
l'Unità