Meloni lascia il lavoro a metà: sicurezza sì, salari equi no

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Meloni lascia il lavoro a metà: sicurezza sì, salari equi no

Meloni lascia il lavoro a metà: sicurezza sì, salari equi no

E' muro sulle buste paga

Meloni annuncia di aver trovato 1,2 miliardi da investire sulla prevenzione e si è detta disponibile a fermare la catena dei subappalti.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Giorgia prova il colpo grosso e forse ci prova sul serio: lo si capirà davvero solo dopo i referendum dell’8 e 9 giugno. La partenza però è reale, in caso contrario non si spiegherebbero le reazioni del segretario della Cgil Landini e di quello della Uil Bombardieri al termine del lungo incontro con il governo di ieri. “Sarei uno sciocco se non ammettessi che oggi, sul piano del metodo, è successa una cosa diversa da quanto avvenuto sinora. Che poi le risposte siano quelle che chiediamo è tutto da vedere”. Landini è giustamente molto prudente: “Per la prima volta abbiamo trovato una disponibilità, almeno sulla carta”, prosegue. Bombardieri è lievemente più ottimista: “L’incontro è andato bene. Sono state accolte due nostre richieste: quella di istituire un tavolo alla presidenza del Consiglio sul tema della sicurezza sul lavoro e quella di utilizzare i residui del bilancio Inail per destinarli alla sicurezza”.

Ad aprire l’incontro, annunciato dalla premier nel videomessaggio diffuso alla vigilia del primo maggio, è stata la stessa Meloni. Ha rivendicato lo stanziamento di un miliardo e 200 milioni per la sicurezza. Ha chiesto di “unire gli sforzi per radicare una cultura della sicurezza sul lavoro e prevenire le troppe tragedie”. Ma la politica, ha ammesso, “non ha tutte le risposte”. Di qui l’invito interpretato dai sindacati come apertura sul piano del metodo: “Siamo qui per ascoltare, senza pregiudizi”. Ad ascoltare a fianco della presidente e di fronte ai rappresentanti di tutti i sindacati c’era una folta delegazione del governo, più o meno tutti i ministri e i sottosegretari le cui aree di competenza riguardano a diverso titolo il lavoro: la ministra del Lavoro Calderone, naturalmente, ma anche Tajani come vicepremier, Urso per le Attività produttive e Foti per il Pnrr, la sottosegretaria all’Economia Albano, quello alla presidenza Mantovano e il presidente dell’Inail, l’ente dal quale arriverà lo stanziamento promesso, D’Ascenzio. Lo schieramento in formazione da battaglia stava anche a significare l’importanza che Meloni intendeva dare all’incontro con i sindacati e a quello in agenda a seguire con le “associazioni datoriali”.

Il governo, per la verità, non si è limitato ad ascoltare. Ha indicato anche, sia pure a grandi linee, le direzioni nelle quali pensa di procedere. Formazione sia sui posti di lavoro che nelle scuole, scommessa sul ruolo delle figure di controllo, a partire dai rappresentanti dei lavoratori, ma soprattutto incentivi alle imprese. La chiave, per il governo, è la premialità, a partire dagli incentivi alle imprese con basso tasso di infortuni. Landini ha rilanciato mettendo subito sul tavolo due proposte precise. Prima di tutto una revisione della patente a crediti, strumento che la premier aveva citato a dimostrazione dell’impegno in materia dell’esecutivo. “Va estesa a tutte le attività ma anche rivista perché così com’è non serve a niente”, ha replicato il segretario della Cgil. Poi lui e Bombardieri hanno messo sul tavolo la richiesta di un confronto “sulla logica dei subappalti”, ottenendo il consenso della delegazione governativa: “Abbiamo chiesto di cancellare il subappalto a cascata e riportare la responsabilità al committente: quello che chiediamo nel referendum, che è la soluzione al problema dei subappalti a cascata”.

È probabile che proprio l’imminente referendum spieghi almeno in parte la decisione della premier di fare quel che aveva evitato negli ultimi due anni: provare ad aprire un vero confronto con i sindacati. Giorgia sa perfettamente che proprio il lavoro, inteso come sicurezza, diritti e salario, è il vero punto debole del suo governo. Lei e il ministro dell’Economia Giorgetti hanno scelto di privilegiare la credibilità in Europa e sui mercati anche a costo di penalizzare una parte della base elettorale della destra: non ha torto chi rinfaccia alla leader di FdI di mettere al primo posto oggi ciò che dagli spalti dell’opposizione bersagliava: lo spread, le agenzie di rating, il rispetto dei parametri.

Su quel terreno oggi la presidente del Consiglio si sente abbastanza sicura da aprire un confronto probabilmente reale, articolato per tavoli tematici nei quali si cercherà una quadra fra le grandi linee indicate dal governo e le proposte dei sindacati. Non a caso però si è parlato e si parlerà di sicurezza, che è un tema fondamentale, ma non di salari, che lo sono altrettanto. Lì i margini per Giorgia sono molto limitati. Non per la Lega però, che si è lanciata con due proposte, tax al 5% sotto i 30 anni e agganciamento dei salari all’inflazione, quanto meno audaci. Come reagiranno gli alleati e lo stesso ministro dell’Economia, pur leghista, dirà molto sulla realtà del tentativo della destra di mettere il proprio mantello tricolore anche sul lavoro.

l'Unità

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