Partecipazione dei lavoratori, una svolta nel segno di Leone


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L'intervento
Con l'approvazione in Senato della legge proposta di legge promossa dalla Cisl, viene azionata dopo 77 anni la previsione più “leonina” della Costituzione: il diritto di chi lavora in un'azienda a collaborare alla sua gestione
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Con inusuale coerenza con i tempi della storia, il Senato ha approvato la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dalla Cisl dedicata alla “partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese”. E’ passata solo una settimana dall’elezione al soglio pontificio di Papa Leone XIV, intenzionato a impegnare la dottrina sociale della Chiesa Cattolica nell’interpretazione escatologica (ma anche pratica) delle sfide di oggi, e finalmente, dopo 77 anni, è stata azionata la delega legislativa contenuta nell’art. 46 della Costituzione. La disposizione più “leonina” (nel senso di Leone XIII) di tutta la Carta, ossia la più coerente con quella terza via tra il dirigismo comunista e il liberismo della “mano invisibile” che fu teorizzata nella Rerum Novarum (“né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia fa la bellezza e l'ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie”, periodo n. 15) e poi realizzata dai padri costituenti con riferimento al “diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”, seppure “in armonia con le esigenze della produzione” e “nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi” (art. 46).
Certo, fa impressione osservare il dibattito politico attorno al “superamento del Novecento” che si realizzerebbe dando forma legislativa a una intuizione scritta addirittura prima di quel secolo. Un confronto interessante sotto il profilo storico-ricostruttivo, ma poco coinvolgente per i giovani lavoratori, quelli nati dopo il Duemila, che alla politica e alle parti sociali chiedono concretezza e senso del presente. Gli stessi che non hanno alcuna crisi di identità ideologica se il “capo” chiede loro come migliorare i prodotti e i processi dell’azienda ove lavorano, che contrattano senza esitazione salario variabile e welfare per preservare il proprio tempo libero, che si organizzano il lavoro in autonomia e rifuggono le gabbie dell’orario di lavoro rigido. Per costoro la partecipazione è già realtà, ma indefinita, sovente caotica e, soprattutto, vissuta in solitudine.
La sfida lanciata dalla Cisl, accolta dalle forze di maggioranza e da parte dell’opposizione (Italia Viva e Azione) è tutta qui: questa legge sarà in grado di incrementare la qualità del lavoro, di arricchirlo di competenze e riconoscimenti economici? E’ possibile riscoprire il valore sociale dell’impresa e la responsabilità che questo comporta verso le persone e le comunità?
Nei 15 articoli del provvedimento non c’è alcuna formula magica, se non la tipizzazione delle quattro forme di partecipazione già esistenti nelle imprese italiane (soprattutto quelle grandi), da adottare e diffondere mediante la contrattazione collettiva (anche in quelle piccole). La partecipazione gestionale si sostanzia nella indicazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori negli organi ove sono definite le strategie (consiglio di amministrazione o consiglio di sorveglianza); la partecipazione economico-finanziaria riguarda la distribuzione ai dipendenti degli utili o il loro coinvolgimento diretto nel capitale mediante i piani di azionariato; la partecipazione organizzativa si realizza nelle commissioni paritetiche dedicate al miglioramento dell’organizzazione aziendale; la partecipazione consultiva prevede il confronto tra proprietà, management e lavoratori sulle scelte che impattano sul futuro dell’impresa.
Vinta con un risultato indubbiamente storico la battaglia legislativa, ora chi crede nella partecipazione non deve retrocedere di fronte alle attese di molti (tra i quali gli oltre 400 mila firmatari della proposta originaria), che vedono nella contrattazione collettiva azionata dalla legge una delle ultime possibilità per tornare ad essere protagonisti del proprio lavoro, oltre ogni retorica referendaria sulla qualificazione giuridica dei rapporti individuali o sulle regole del licenziamento.
Emmanuele Massagli presidente Fondazione Ezio Tarantelli
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