L’arte come unico mezzo per capire davvero la tecnologia

Viviamo in un mondo di superfici. Vediamo ciò che è sotto la luce del sole, o quella degli schermi degli smartphone. Un mondo insieme di trasparenza e apparenza. Ma dietro quella apparenza c’è un lato nascosto. Il mondo oscuro da dove principia la vita stessa. Anche quella digitale. Che dietro l’estetica, il design, la funzionalità della tecnologia di consumo nasconde un mondo imperscrutabile.
La meraviglia della tecnologia, arma del mercatoAnche quando pensiamo di capirne tanto di tecnologia, spesso quello che riusciamo a vedere è solo la meraviglia del nuovo. E la meraviglia è il concetto che più piace al capitalismo tecnologico, che presenta le sue innovazioni come magia, sempre nuova, sempre più potente, più efficace, più penetrante.
Ma a chi tocca indagare cosa c’è dietro quella meraviglia? Quali ferite comporta, se le comporta? Cosa c’è oltre gli schermi, oltre le risposte ben articolate di un chatbot di intelligenza artificiale, dietro l’impeccabile precisione di oggetti che ci mappano il corpo, la pressione sanguigna, l’ossigenazione del sangue e la quantità di zuccheri che ingeriamo?
L’arte come analisi critica della tecnologiaPer Nadim Samman una risposta possibile è l’arte. Critico, curatore di mostre di fama internazionale, è forse l’intellettuale più noto per l’indagine del rapporto tra tecnologie e rappresentazione artistica. Luiss Press ha pubblicato il suo “Criptopoetica. L’arte nell’era del tecnocene”.
Un’indagine su come l’arte contemporanea si stia confrontando con quella che Samman definisce la “crescente opacità del nostro ambiente tecnologico”. La tesi di Samman è subito chiarita: “Il terreno su cui si fonda la cultura contemporanea è profondamente criptato. A fronte della tanto decantata trasparenza, un’opposta corrente di oscurità e opacità getta la sua ombra sul Tecnocene (la nostra epoca, l’epoca della compiuta tecnologia, ndr). Nell’effettiva costituzione del pensiero illuminato è già innestato un ordine nascosto: il mondo atomico della scienza moderna, la cui realtà elude la vista” (pg. 54).
Il mondo moderno è per Samman un mondo ampiamente oscuro. Fatto di tecnologie informatiche, smartphone e app, i cui meccanismi interni sono ai più opachi tanto per la loro complessità quanto per il loro schema proprietario.
Un apparato di tecnologie e dispositivi che però è entrato nella nostra vita. La determinano. Nel complesso, scrive Samman, “organizzano il nostro destino”. Il libro quindi esplora il modo in cui gli artisti del XXI secolo registrano e interpretano algoritmi proprietari, archivi di dati segreti e sistemi tecnologici imperscrutabili. Lo fa con una nutrita sezione dedicata alle opere, illustrata a colori, che aiutano il lettore nella comprensione dei temi trattati. Quasi come se il libro a un certo punto diventasse un’enorme didascalia alle decine di opere stampate.
Hikikomori, anacoreti e Platopticon: dentro la cripta tecnologicaL’opera in sé diventa un modo per indagare il nostro mondo. Capirlo, tramite le suggestioni che l’arte può dare. Un sapere non tecnico, ma intuitivo. E Samman attraverso le opere racconta il sommerso della tecnologia, il suo non detto, i metodi in cui ha imbrigliato la vita. Il libro ruota intorno ai concetti di reclusione, cattura, esclusione. E poi cripta, inferno, abitacolo.
La cattura in quello che definisce il “Platopticon”, un sistema di clausura all’interno del quale ciascuno ha la sua cella, la sua grotta (come quella di Platone), mentre sulle pareti-schermi “scorrono ombre della contemporaneità, sotto forma di interfaccia, che riproduce un contenuto personalizzato, modellato”. Per Samman l’uomo moderno è un uomo strappato dalla vita e costretto a una sua rappresentazione mediata dalla tecnologia.
Platone, la caverna. Il Panopticon, secondo l’immagine di Foucault-Bentham, simbolo di una società capace di mettere in campo ‘dispositivi’ e discorsi che producono soggetti normalizzati. Disciplinati. Chiusi nelle loro ‘celle’ nell’era tecnologica. Una condizione di isolamento rappresentata in qualche modo dagli hikikomori, ragazzi, uomini e donne che si chiudono in casa e vivono l’esterno solo attraverso i dispositivi, come anacoreti senza religione.
Chiusi nelle loro caverne, menzognere nella promessa di renderci un mondo totalmente accessibile e trasparente. Soffocanti rispetto alla vita vera, diventata simulacro di se stessa, applicazione tra le applicazioni della tecnologia di consumo.
La Repubblica