Brasile. Moody’s abbassa le prospettive di credito nonostante dati positivi sul PIL e sull’occupazione

di Paolo Menchi –
L’agenzia di rating Moody’s ha declassato l’outlook sul merito di credito del Brasile da “positivo” a “stabile”. Pur confermando la valutazione Ba1, una tacca sotto il livello “investment grade”, l’agenzia ha motivato il cambio con l’inasprimento del disavanzo statale, i lenti progressi nelle riforme strutturali e l’aggravarsi della pressione dovuta agli elevati interessi sul debito. Questa decisione rappresenta un segnale d’allarme per il governo di Luiz Inácio Lula da Silva, già alle prese con un difficile equilibrio tra spesa pubblica e credibilità fiscale. Secondo Moody’s, i costi legati al pagamento degli interessi, cresceranno in modo più marcato del previsto, provocando un aumento dei disavanzi e un accumulo di passività che potrebbe portare il debito a stabilizzarsi intorno all’88% del PIL nei prossimi cinque anni, ben oltre l’82% stimato nell’ottobre 2024. Il ministro delle Finanze Fernando Haddad si trova ora in una posizione delicata. Il suo obiettivo di azzerare il deficit primario (esclusi gli interessi) nel 2025 è messo in discussione da un contesto economico sempre più rigido. Il Congresso ha dato dieci giorni al ministro per trovare fonti alternative di entrata o ampliare i congelamenti di spesa già in atto, evidenziando le tensioni tra il governo e il parlamento. La recente proposta dell’esecutivo di aumentare il tributo sulle operazioni finanziarie (IOF) ha scatenato una bufera politica. Nonostante un parziale dietrofront, il decreto ha causato un danno stimato in 1.400 milioni di reais, che il governo intende compensare attingendo a fondi destinati a piccole imprese e studenti, come il FGO e il FGEDUC. La mossa ha alimentato voci su una possibile sostituzione di Haddad con Aloizio Mercadante, figura vicina al Partito dei Lavoratori e sostenitore della Teoria Monetaria Moderna (TMM), favorevole a un maggiore intervento statale. Le principali confederazioni industriali, agricole e finanziarie del Paese hanno firmato un manifesto contro l’aumento dell’IOF, denunciando l’impatto negativo sui costi e sulla fiducia degli investitori. Il quotidiano “O Estado de São Paulo” ha parlato apertamente di una “perdita di credibilità” da parte del governo, sostenendo che l’imprevedibilità fiscale allontana i capitali e ostacola la crescita sostenibile. Il presidente della Camera, Hugo Motta, ha minacciato la revoca del decreto se non verranno presentate alternative entro il 10 giugno. In caso contrario, Haddad ha avvertito che il blocco dell’aumento comporterebbe un “paralisi amministrativa”, con tagli fino a 30 miliardi di reais, incluso lo stop al programma sociale Minha Casa, Minha Vida e a tutte le iniziative del Ministero della Difesa. Nonostante le difficoltà, il PIL brasiliano ha registrato una crescita dell’1,4% nel primo trimestre del 2025, trainato dal settore agricolo (+12,2%) grazie a produzioni record di soia, mais, riso e tabacco. Tuttavia l’industria ha segnato una lieve contrazione (-0,1%), e i servizi, che rappresentano il 70% dell’economia, hanno mostrato un’espansione contenuta dello 0,3%. Il piano “Nuova Industria Brasil” non ha finora prodotto i risultati sperati: secondo uno studio della CNI, il Brasile è ultimo per competitività industriale tra 18 paesi analizzati. L’occupazione, invece, ha mostrato segnali incoraggianti: il tasso di disoccupazione è sceso al 6,6%, ai minimi dal 2012. Ad aggravare la situazione è emerso un nuovo scandalo: lo Stato dovrà rimborsare pensionati e beneficiari dell’INSS vittime di frodi da parte di sindacati, per un totale di circa 6 miliardi di reais. Sebbene il governo prometta di recuperare i fondi con la confisca dei beni delle associazioni coinvolte, i rimborsi verranno anticipati con denaro pubblico. Infine, le aziende statali federali hanno registrato un disavanzo record nei primi mesi del 2025, pari a 2.690 milioni di reais. Mentre la ministra Esther Dweck contesta i dati ufficiali della Banca Centrale, il malcontento popolare cresce: secondo l’ultimo sondaggio Atlas/Bloomberg, il tasso di disapprovazione del presidente Lula ha toccato il 53%.
Il declassamento del rating di Moody’s e le difficoltà fiscali che affliggono il Brasile segnalano una crescente sfiducia nella capacità del governo di Lula di mantenere una politica economica coerente e sostenibile. In vista delle elezioni del 2026, l’esecutivo si trova a un bivio: proseguire con una politica di spesa espansiva che accontenti l’elettorato o avviare un doloroso processo di correzione fiscale per rassicurare i mercati.
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