Geoingegneria per modificare il clima: i rischi e i dubbi etici

Tra becere teorie del complotto sulle scie chimiche e complicati progetti di università internazionali, la parola geoingegneria torna ciclicamente nel dibattito pubblico. Con questo termine si intendono tutte quelle tecnologie usate per modificare il clima terrestre per fermare il riscaldamento globale. Tra i futuri possibili e sempre più prossimi c’è proprio quello di fermare l’emergenza con questo gruppo di discipline, lungi dall’essere relegate ai film di fantascienza e alle stralunate e irrealizzabili fantasie dei ricchi del pianeta.
Sono tanti però i pericoli che si celano dietro interventi pensati per cambiare il volto della Terra, e riguardando anche scelte chiare di governance climatica ed etica ambientale. Oggi infatti la questione non è tanto sapere quando e se potremo manipolare il clima, anche perché siamo già in grado di farlo, per quanto i risultati siano altalenanti. Bensì come dovremmo farlo e con quali regole, che dovranno necessariamente essere condivise e fondate su equità e trasparenza.
Anche i più scettici in tema di cambiamento climatico dovrebbero seguire attentamente questo nuovo dibattito, iniziando a farsi domande sulla direzione che la nostra specie sta prendendo. O che almeno governi e imprese stanno decidendo di percorrere, con conseguenze che interesseranno tutti noi e l’ambiente in cui viviamo.
Cos’è la geoingegneria?Ma partiamo dalle basi e torniamo un attimo al concetto di geoingegneria. Non si tratta di una disciplina unica, ma di un insieme eterogeneo di approcci al cambiamento climatico. Si differenzia da altri tipi di ingegneria climatica e ambientale per due caratteristiche principali:
- opera su scala globale e non regionale;
- ha deliberatamente lo scopo di cambiare il clima invece, ad esempio, di mitigare gli effetti del surriscaldamento.
Tra le branche più famose di geoingegneria ci sono:
- la gestione della radiazione solare (solar radiation management o Srm);
- la rimozione del carbonio (carbon dioxide removal o Cdr);
- la geoingegneria glaciale.
Con la Srm si mira a riflettere parte della luce solare nello Spazio, magari con l’uso di spray solari, per raffreddare la Terra. L’iniezione di aerosol nella stratosfera e il cloud brightening sono alcune delle tecniche già sperimentate da importanti università internazionali.
La Cdr può essere portata avanti invece con tecniche semplici e antiche come la riforestazione, sfruttando il potere del mondo vegetale, o con tecnologie avanzate come filtri di estrazione della CO₂ nell’aria – come quelli testati da Climeworks in Islanda.
La geoingegneria glaciale, ancora poco nota, prevede invece interventi fisici contro lo scioglimento dei ghiacciai, dalle barriere sottomarine per contenere il flusso del ghiaccio fino a teli riflettenti, passando per l’iniezione di acqua fredda sotto le calotte polari.
Quali sono i rischiMa se queste tecnologie promettono soluzioni rapide ed efficaci, è proprio nei rischi che si nasconde il cuore del problema.
L’effetto farfalla su altre zone del pianetaIntervenire sul clima globale significa modificare un sistema complesso, con effetti collaterali difficilmente prevedibili. Alan Turing, in Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), scriveva:
Il sistema dell’universo come un tutto è tale che errori molto piccoli nelle condizioni iniziali possono avere effetti disastrosi in un momento successivo. Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, ad un momento dato potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo a causa di una valanga o la sua salvezza.
Il matematico certo non pensava alla geoingegneria mentre scriveva la sua opera che anticipava il funzionamento dei moderni robot e dell’intelligenza artificiale. Ma aveva colto l’effetto domino (o per meglio dire l’effetto farfalla, come è nota nel mondo della fantascienza la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali) che un singolo cambiamento potrebbe innescare su larga scala.
Alterare la radiazione solare con aerosol potrebbe cambiare drasticamente i regimi delle piogge monsoniche nel Sud del mondo. Oppure danneggiare lo strato di ozono, esponendo aree del mondo a maggiori radiazioni UV-B (e quindi a gravi problemi di salute, come i tumori della pelle).
Anche tecniche meno invasive di cattura del carbonio come l’apparentemente innocua fertilizzazione oceanica potrebbero rivelarsi dannose per l’ambiente. Ad esempio il progetto Planktos, terminato nel 2007 e fortemente criticato anche dal Wwf, prevedeva la fertilizzazione degli oceani con lo spargimento di ferro per stimolare la riproduzione del plancton vicino alle Canarie. Avrebbe potuto causare grossi squilibri nell’ambiente marino.
Shock da interruzioneUn altro rischio sottolineato da diversi studi scientifici è quello dello shock da interruzione. Se dovessimo riuscire a fermare l’aumento delle temperature o raffreddare il pianeta in maniera artificiale, la tecnologia usata potrebbe renderci schiavi per sempre.
Le tecniche che agiscono sulla radiazione solare, come gli aerosol stratosferici, non eliminano infatti le cause del riscaldamento e l’accumulo di CO₂. Semplicemente ne mascherano (temporaneamente) gli effetti.
Se a un certo punto, per motivi politici, economici o tecnici, si decidesse di interrompere questi interventi, la CO₂ accumulata continuerebbe a trattenere calore e il clima si riscalderebbe di colpo.
Un aumento brusco e repentino delle temperature globali in pochi anni sarebbe molto più difficile da gestire rispetto a un riscaldamento graduale, con impatti devastanti sugli ecosistemi, sull’agricoltura e gli allevamenti, sulla salute delle persone e probabilmente anche sulla tenuta delle società, vista l’ondata di disastri (alluvioni, incendi e siccità su tutti) che ne deriverebbe.
Iniziare un programma di geoingegneria solare significherebbe condannare i posteri a mantenerlo per decenni o secoli, senza possibilità di uscita sicura, e con l’ansia costante di dover reperire fondi, risorse e competenze per mantenerlo in vita.
Rischio moraleNon è da sottovalutare anche il rischio morale. Se pensiamo che una tecnologia sia capace di salvarci in extremis, potremmo smettere di impegnarci seriamente nella riduzione delle emissioni e nello sforzo di vivere in maniera sostenibile e compatibile con le esigenze del pianeta.
È una trappola psicologica: l’illusione che esista un piano B tecnologico può rallentare o bloccare le politiche di transizione ecologica, giustificando l’inazione di governi e imprese. Verrebbe alimentata l’idea che la responsabilità individuale e collettiva possa essere delegata a soluzioni ancora sperimentali o incerte. In due parole: ai posteri. Come abbiamo fatto negli ultimi 50 anni, perdendo tempo e mezzi per fermare il declino.
Chi decide?Oggi non esiste una regolamentazione internazionale vincolante sulla geoingegneria: niente trattati né un’autorità globale incaricata di delineare il limite delle sperimentazioni.
Una sola modifica al clima potrebbe mettere a rischio la vita di milioni – o miliardi! – di persone. E non può essere un governo, un’azienda privata o un solo folle magnate con complessi messianici a dettare il ritmo della scienza e i gradi di intervento possibili.
Un team di scienziati dell’Unione Europea si è espresso lo scorso anno, secondo il principio di cautela, a favore della messa al bando su tutte le tecnologie di manipolazione solare in attesa di una governace globale chiara e trasparente.
L’Onu ha iniziato a discutere del tema in occasione della Convenzione sulla diversità biologica del 2010. In questo caso chiedendo una moratoria sulle tecniche di geoingegneria che potrebbero avere impatti su altri Paesi.
L’Italia, dal canto suo, non ha ancora espresso una linea politica ufficiale – ma, bisogna sottolinearlo per sedare subito gli animi dei complottisti che leggono, non sono attualmente in corso nel nostro Paese esperimenti di geoingegneria.
Insomma, siamo lontani da un sistema condiviso che stabilisca chi può intervenire sul clima e con quale mandato. In assenza di regole, il rischio è anche una questione di democrazia, di dominio e di nuove frontiere di colonialismo e conflitti.
Se domani qualcuno potesse cambiare la temperatura della Terra, chi potrebbe opporsi e con quali strumenti normativi? È ora di porsi questa domanda ed è ora che lo facciano i governi, definendo subito paletti chiari e una strategia che impedisca a chi ne avrà il potere (è il caso di dirlo) di fare il bello e il cattivo tempo.
QuiFinanza