Pisicchio: «Ricostruire il centro: nessuna nostalgia ma è tempo di lavorare per un disegno più alto»
Ha tenuto in mano l’Italia dal 1946 al 1993 per poi perdersi sotto i colpi della giustizia e dei picconi che tiravano giù il Muro. È passato allo stato liquido degli «affluenti» e a quello gassoso di una nebulosa che c’è ma non s’afferra. Di fatto, il Centro (politico) è sempre stato lì, nei pensieri ostili degli avversari e in quelli al miele degli evocatori. Oltre che nelle urne. Una vera ossessione, L’ossessione del centro (Rubbettino, pp. 114, euro 12), appunto, come da titolo del nuovo volume del giurista ed ex deputato barese Pino Pisicchio. Un testo agile ma denso che lascia sullo sfondo il mito incapacitante della Dc e rilancia la sfida nell’oggi.
Pisicchio, ma il centro esiste ancora?
«A giudicare dai risultati elettorali dal 1994 ad oggi, contando tutti i pulviscoli di destra e sinistra, direi di sì. Pesa sempre per un 17-18%, non certo poco. E poi guardiamo all’Europa: Macron con il premier Bayrou, Starmer e Merz, di fatto, sono tutti centristi. Lo è anche Nicusor Dan, il vincitore delle recenti elezioni in Romania».
E allora perché il «centrismo» non si afferma anche in Italia?
«Ci sono varie ragioni che cospirano contro il centro a cominciare dall’irrespirabile clima generale della politica italiana. Pesa la fine della forma partito, innanzitutto, con l’avvento di un cesarismo che incoraggia la continua delegittimazione dell’avversario. E poi c’è il nodo dei sistemi elettorali, più o meno recenti, che al leaderismo sono sempre funzionali».
Bisogna capire qual è l’obiettivo: un centro unico o due centri distinti incistati negli opposti schieramenti?
«È difficile pensare che in Italia non possa nascere una soggettività unica. Ma se non riusciamo a fare un centro, almeno facciamone due».
Entriamo nel merito. Forza Italia?
«Oggi è il centro del centrodestra ma in prospettiva mi interessano molto le posizioni di Marina Berlusconi che, pensiamo al tema dei diritti, si è mossa spesso in contrasto con le opinioni degli alleati».
A Milano Forza Italia ha iniziato a dialogare con Azione di Carlo Calenda. Un abbozzo di centro?
«A sinistra Calenda, Renzi e la Bonino non hanno saputo praticare la via dell’unità, con effetti devastanti alle Europee: avrebbero potuto prendere il 7%, non hanno portato a Bruxelles nemmeno un europarlamentare. Un disastro. Ma è naturale che ci siano delle prove di dialogo fra le culture che frequentano la stessa “terra di mezzo”. L’importante è non farsi condizionare da inutili personalismi ma lavorare per un disegno più alto. In sintesi, ciò che manca è una visione».
E la Chiesa in tutto questo? Sono lontani i tempi dei Papi italiani che mettevano mano alle cose di casa nostra...
«La Chiesa ha iniziato a non partecipare attivamente alle contesa politica già alla fine degli anni Sessanta. Ed è giusto così, sarebbe impensabile il contrario. Ma da qualche tempo si è messa in moto una energia nuova. C’è un impulso forte. Penso alle posizioni della Cei su immigrazione e Autonomia differenziata. Nonché alla forte critica portata da don Ciccio Savino al premierato. Parliamo di politica concreta, non di vaghi principi».
Se il centro tornasse, quale sarebbe la prima battaglia?
«Cambiare la legge elettorale, innanzitutto. E poi, da forza europeista, dovrebbe spingere l’Ue a realizzare un over the top continentale per non essere succubi di altri player nella grande sfida posta dalle tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale».
La Gazzetta del Mezzogiorno