«La mia vita in biancorosso»: Pasquale Loseto compie 80 anni e sfoglia l’album dei ricordi

Pasquale Loseto insiste: meglio fare l’intervista di persona, non al telefono. Effettivamente ha ragione, anche perché il caso ci mette del suo: chiediamo se va bene incontrarsi (in un mezzogiorno che più caldo non si può) di fronte al castello ed è proprio lui a lanciare… l’assist che non ti aspetti: «Perfetto, pensa che proprio lì ho tirato i primi calci al pallone. Dammi il tempo di arrivare con la bici». Quale migliore occasione per un magico tuffo nel passato biancorosso, grazie a una bandiera del Bari che il 12 giugno compirà 80 anni. In questa piazzetta che si affaccia davanti all’Arco Basso, “Ualino” da bambino giocava ogni giorno, nutrendosi come tanti ragazzini come lui, di pane e pallone. Una tradizione famigliare per i Loseto da Bari Vecchia: «I miei zii materni erano i fratelli Chiricallo che da piccolo ammiravo allo stadio della Vittoria. Fu allora che mi sono innamorato del calcio e del Bari, squadra allenata anche da un altro mio zio, Capocasale». Quando Loseto ha 13 anni, in questa piazzetta dove oggi (fisico asciutto come quando giocava da terzino-marcatore facendo impazzire gli attaccanti avversari) torna ad accarezzare il pallone, un giorno si affaccia un certo Michele Gravina. Oggi lo chiameremmo talent scout, ma uno vero che girava i campi in periferia scovando talenti. Altro che comodi uffici con l’aria condizionata dove oggi i moderni manager del pallone gestiscono il calcio davanti a un computer. «Mi disse: “vuoi venire a giocare nel Bari?”. Non mi sembrava vero. Da allora lo stadio della Vittoria è diventata la mia seconda casa, anzi per un periodo la prima perché mister Lamanna mi fece vivere lì per un lungo periodo dopo avermi beccato a giocare a pallone alle tre di notte con gli amici di sempre…».
Da quel giorno la maglia biancorossa è diventata la sua seconda pelle. «Settore giovanile, prima squadra, due promozioni in serie A, 13 anni da calciatore e poi altri 20 come allenatore e dirigente nel settore giovanile, ai tempi dei Matarrese che hanno creduto tantissimo in me». Scoprendo talenti, tanti talenti. «Nel periodo in cui insieme a Gravina ed Enrico Catuzzi abbiamo gestito il settore giovanile, una sessantina di ragazzi sono diventati professionisti, molti hanno giocato nel Bari». Qualche nome? «I miei fratelli Giovanni e Onofrio, Amoruso, Bigica, Carbone, Bellucci, Parente, Tangorra, Claudio Nitti solo per fare alcuni nomi». Tra le caratteristiche del Pasquale Loseto allenatore, da profondo conoscitore del calcio qual è, la capacità e il coraggio di cambiare ruolo in base alle caratteristiche tecniche, fisiche, tattiche e atletiche dei suoi ragazzi. «Mio fratello Giovanni ha iniziato da attaccante, mia moglie gli regalava 5.000 lire per ogni rete segnata, ma io lo vedevo come difensore. Catuzzi allenava la Primavera e rimase stupito dalle sue caratteristiche in quel ruolo, il caso ha voluto che passò ad allenare la prima squadra proprio quando in difesa si creò un buco e così lanciò Giovanni. Anche Amoruso giocava in attacco, l’ho trasformato in difensore centrale perché secondo me con il suo fisico avrebbe reso di più. Bigica iniziò da libero, per me giocava meglio da mediano». Non ne ha sbagliata una Ualino.
«Ho avuto la fortuna di vivere tanti momenti bellissimi in un’epoca in cui il calcio era vero, nulla a che fare con quello di oggi. La nascita dei mie tre figli, dei miei otto nipoti, le vittorie in campo, le promozioni sudate sono le gioie della mia vita». Tra gli avversari Pierino Prati e Gigi Riva con il quale è nata un’amicizia. «Nella stagione 1969-70 quando ospitammo il Cagliari riuscii quasi sempre ad anticiparlo, unica arma che avevo a disposizione per provare a contenere uno degli attaccanti più forti della storia del calcio. Si complimentò a fine gara. Nel ritorno, noi eravamo già retrocessi, loro si giocavano lo storico scudetto. Gigi mi aspettò allo stadio: “Dov’è Loseto?”, chiedeva. Quando mi vide, sussurrò: “Mi raccomando Pasquale, che per noi oggi è fondamentale, non colpite duro”. Gli risposi: “Siete più forti di noi e vincerete, avete più motivazioni, ma non regaleremo nulla lo sai”. Gli chiesi se a fine gara potessi avere la sua maglia in un’epoca in cui non si buttava niente e le divise finivano alla Primavera. Giocai bene anche a Cagliari. Ci fu l’invasione di campo e noi corremmo verso gli spogliatoi. Gigi mi raggiunse e mi regalò la maglia complimentandosi per la mia correttezza in campo. Entrate decise, ma sempre sulla palla. Il rispetto è la prima cosa nello sport. Voleva portarmi al Cagliari, andò diversamente. Peccato, avrei giocato la Coppa dei Campioni quell’anno. Gigi era un giocatore fortissimo e corretto, e soprattutto una persona straordinaria. Gli volevo bene». A fine stagione, il Bari parte per un torneo amichevole negli Stati Uniti. Loseto si ritrova come avversario un certo George Best: «Difficilissimo da marcare, una tecnica superiore, ma nella sfida contro il Manchester United non gli ho fatto toccare palla…».
Loseto è un fiume in piena, difficile selezionare aneddoti e ricordi, lui che in carriera ha avuto allenatori come Gravina nel settore giovanile, Calabrese che a 19 anni lo lanciò in prima squadra, Toneatto, Oronzo Pugliese con cui ha giocato in serie A, suo zio Nicola Chiricallo e Mimmo Renna quando Pasquale ha giocato a Lecce dopo la parentesi di Pescara. Tantissimi i giocatori che porta nel cuore, diventati amici. Tra loro Canè, Spalazzi, Diomedi, Michele Lorusso, Nicola Loprieno, Angelo Carella, Saverio Toscano. Pasquale interrompe il racconto per salutare suo fratello Piero, passato di qui per caso. Bari Vecchia è un crocevia perché ad un certo punto spunta anche il fratello Giovanni, un altro monumento di un Bari che non c’è più.
Pane e pallone, dicevamo. Le bandiere, nonostante le promesse del patron Aurelio De Laurentiis che aveva annunciato sette anni fa di volerle coinvolgere nel club, restano incredibilmente ammainate. «Non mi riconosco più nel calcio moderno e in particolare in questo club, non seguo più il Bari».
Ottanta candeline dietro l’angolo, certo, ma giovane dentro e con i giovani sempre in testa e nel cuore. «Oggi si cercano solo giocatori stranieri dotati fisicamente, una follia. Anche nel campionato Primavera si rischia di vedere in campo due-tre giocatori italiani al massimo. Noi andavamo in giro a scovare i baresi nei campi di periferia come Gravina fece con me, rinforzando la squadra con non baresi solo quando avevano caratteristiche che altri non avevano. Gli allenatori oggi impongono schemi e tattica a dei bambini che invece andrebbero lasciati liberi di esprimersi con la loro fantasia. Da quando non ci sono più i Totti, i Del Piero, i Baggio non si cerca più un dribbling. Tanti passaggi in orizzontale e costruzione dal basso: è tutto molto noioso. Il calcio, invece, è gioia, ma lo hanno ucciso».
Pasquale gusta un gelato e suo fratello Giovanni lo prende in giro quando arriva il momento dei saluti e di lasciare il pallone lì, in quella piazzetta, dove tutto è nato. Pochi giorni ancora, e Pasquale festeggerà 80 anni insieme alla sua famiglia. Un cognome che vuol dire Bari calcio, i Loseto. Eppure, come è accaduto per tutte le ex glorie del Bari, un patrimonio infinito di conoscenza del calcio e di amore infinito per i colori biancorossi, purtroppo è disperso per colpa di chi vede nel Bari la seconda squadra del Napoli. Non sanno cosa stanno perdendo. «Ho amato infinitamente la maglia della mia città», conclude Ualino. Anche il popolo biancorosso ti ama, Pasquale. Buon compleanno e grazie.
La Gazzetta del Mezzogiorno