Da Cat a Yusuf, dal folk a Gaza, senza tradirsi: la parola di Stevens, artista coraggioso

La parabola di un artista coraggioso
Dal successo di Father and Son all’impegno per la giustizia, da Wild World, elogio dell’accettazione, alla conversione all’Islam: la parabola di un artista coraggioso

Si esibirà dal vivo dopo tanto tempo e lo farà nella cornice di Hyde Park nella serata del 12 luglio insieme a Neil Young e Van Morrison. Intanto il 13 maggio è uscito un live at Budokan, piccolo gioiellino per chi lo ha sempre amato e per chi vuole ri-scoprirlo, e a settembre uscirà il libro “On the road to find out”. Stiamo parlando di Demetre Georgiou/Cat Stevens/Yusuf Islam.
Quella di Yusuf Islam è una storia straordinaria, come del resto lo sono le scelte che sembrano estreme, in un mondo dove il valore della spiritualità e della “salvezza dell’anima” non hanno più un senso. Cat Stevens – il nome della sua vita precedente, e ora dal 1977 Yusuf Islam – è un ragazzo nato e cresciuto e Londra, da padre greco e madre svedese, che ha assorbito queste culture diverse e che, da quel ristorante (dei genitori) a Soho, è riuscito ad andare dove voleva, nonostante il padre gli sconsigliasse la vita da artista. Steven Demetre Georgiou, questo il suo primo vero nome, riesce da artista ad arrivare dove vuole e da uomo a essere ciò che vuole, finendo così per essere entrambe le cose. Come padrone della propria vita, ha saputo allontanare e mettere da parte per salvaguardare la propria esistenza anche il successo planetario, quello che ti arriva addosso, senza però mai respingerlo. Per una serie di circostanze, non del tutto fortunose, prima si ammala di tubercolosi e poi rischia di morire annegato a Malibù. Questi due episodi sposteranno completamente il baricentro della sua vita, lo porteranno a fare scelte che a molti non andranno a genio, ma che a lui restituiranno la serenità e lo condurranno alla ricerca di sé stesso e a coltivare anima, pensiero e corpo.
Ma partiamo dalla fine, anzi, partiamo dalla nostra quotidianità, da quanto sia presente Cat Stevens nelle nostre vite. Intanto è l’autore di Father and Son, che nella vita tutti hanno attraversato, ascoltato, dedicato. Forse, è la canzone che rappresenta in maniera inequivocabile la vita che continua, le generazioni che cambiano e vanno avanti, gli scontri generazionali, quel conflitto di sangue e appartenenza inevitabile tra padre e figlio, padri che a loro volta sono stati figli e figli che saranno padri. La rappresentazione musicale di una catena che, per quanto destinata sempre a spezzarsi, mantiene all’inizio e alla fine quel legame indissolubile. All’inizio Cat Stevens crea il brano pensando ad un preciso momento storico e per utilizzarlo per un musical: si ispira agli anni della Rivoluzione Russa, quelli tra il 1917 e il 1923, e il dialogo è tra un figlio che vuole unirsi alla Rivoluzione e un padre che non è d’accordo e che spera che rimanga a casa a lavorare nella fattoria. È il 1969, il musical non avrà mai vita e Father and Son diventa la colonna portante dell’album Tea For The Tillerman. Intanto, tempo prima, il giovane Cat – dopo aver pubblicato con un già ottimo riscontro di pubblico i primi due album Matthew & Son e New Masters – si ammala gravemente di tubercolosi e rimane per un periodo di tempo abbastanza prolungato nel sanatorio di Midhurst, nella campagna inglese. Qui inizia a spostarsi il baricentro di Cat, inizia la sua piccola ma significativa rivoluzione, anche estetica. Innanzitutto decide di cambiare la sua vecchia casa discografica e di non puntare più al commerciale e al pop. Inizia poi a farsi crescere i capelli, la barba e ad indossare abiti meno costruiti.
Il nuovo Cat Stevens parte da qui, da questo isolamento forzato, da questa volontà di non apparire come la cassa discografica vuole, ma di cominciare ad essere ciò che lui è e a trasmetterlo attraverso le proprie canzoni. È il 1970-1971 e Cat Stevens esce con tre nuovi album: Mona Bone Jakon, Tea for The Tillerman e Teaser and Firecat, che lo consacreranno a livello mondiale e che riusciranno a dare all’artista inglese il proprio marchio musicale: chitarra acustica e testi in cui romanticismo e misticismo si incrociano. Cat Stevens è un artista delicato, con la capacità di raccontare attraverso la sua voce “accogliente” le storie di ognuno di noi, dei percorsi che tutti, seppur diversi, abbiamo in comune. Ci racconta di una sorta di viaggio in mare su una nave enorme, che è la nostra anima, affollatissima. E, nonostante questa folla, riesce a vedere ogni piccolo pezzetto, riesce a scardinare timori e ansie, ad affrontare le paure senza averne timore. Apre alla sconfitta come a una soluzione necessaria per i cambiamenti, fuori e dentro sé stessi. Basti pensare a Wild World: una canzone in cui la fine di un amore – quello verso una ragazza ma anche verso sé stessi – avviene in maniera serena e l’accettazione si fa essenziale, l’unica vera forma di amore.
Quando nella canzone dice alla ragazza che ha capito che vuole lasciarlo e che questo gli spezzerà il cuore, Cat usa parole di gentilezza per l’altra persona, ma anche per lui, soffermandosi sul “va bene vuoi andartene, ma abbi cura di te”. Ecco, l’aver cura dell’altro anche se tutto finisce, non essere morbosi, accettare che tutto può finire, che le persone non sono oggetti e che niente può essere possesso. Ma è anche un dialogo con sé stessi, è l’altra parte di sé che cerca di farsi forza, di affrontare i cambiamenti, di non cercare il sorriso nelle persone a tutti i costi, di saper aprire l’ombrello anche quando ci si crede completamente bagnati. Si è sempre in tempo per ricominciare, reinventarsi, andare punto e a capo: questi sono i capisaldi di un artista straordinario che ha scelto in maniera estrema, ma sempre l’uomo, il mondo. Nel 1975 si trasferisce in Brasile, per poi iniziare a viaggiare con il suo tour in tutto il mondo. Nel 1976 il fratello, di ritorno da un viaggio a Gerusalemme, gli regalerà una copia del Corano: in questo momento Cat Stevens sceglierà quello che vorrà essere fino ad oggi. Nel 1977, rischia di annegare a Malibù e da questo momento si converte all’Islam con il nome di Yusuf Islam.
Dopo la pubblicazione di altri due album, Izitso e Back to Earth, Cat Stevens, ormai Yusuf Islam, torna a Londra e apre la Islamia Primary School. Non mancano controversie per la sua conversione all’Islam, specie nel 2004, quando gli viene negato l’ingresso negli Stati Uniti perché il suo nome finisce nella lista degli indesiderati dopo gli attentati del’11 settembre del 2001. Parliamo di una vera e propria scena da film: Cat Stevens si trovava su un volo che sarà dirottato in un altro aeroporto, lì sarà trattenuto e fatto tornare indietro. Nonostante questo, il suo impegno umanitario continua e dà vita a due fondazioni umanitarie: Muslim Aid e Small Kindness. E continua anche oggi, al fianco del popolo palestinese, continua in maniera estrema la sua volontà di giustizia, di pace, esternata ogni giorno sulle sue pagine social senza avere paura di niente e nessuno, sapendo di stare dalla parte giusta, perché Gaza è la parte giusta del mondo per Cat Stevens, è la parte da sostenere ed è la parte con cui stare.
Non è una questione di religione, ma di umanità, quella che una parte del mondo ha già perso, quella che Demetre Georgiou/Cat Stevens/Yusuf Islam, pur cambiando nomi, anima e religione, ha sempre tenuto e trattenuto con sé. “A nation which only sustains itself through endless war, can never ever be a safe home for anyone. How could that have been God’s intention for the children of prophets?”, Yusuf Islam su Facebook. (“Una nazione che può sostenersi solo attraverso una guerra senza fine non potrà mai essere una casa sicura per nessuno. Com’è possibile pensare che questa fosse l’intenzione di Dio per i figli dei profeti?”).
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