I MARTIRI DI ALGERIA/ Gli studenti di Brera: disegnare il loro volto ha cambiato la nostra vita

Gli studenti di Brera, autori dei ritratti della mostra Meeting sui 19 religiosi martiri in Algeria tra il 1994 e il 1996, raccontano la loro esperienza
“Dipingere questi volti insieme ai miei amici è stato un dono enorme”, dice convinta Matilde. “Lavorare a questi ritratti mi ha fatto crescere molto”, aggiunge Martina. Per Paolo “è stato molto bello scoprire i volti di cristiani che sono chiari testimoni della fede e dell’amore di Cristo”. Infine Benedetta afferma che la preparazione della mostra le ha permesso di “conoscere questi 19 volti”, a cui è “infinitamente grata, perché hanno aperto la porta al compimento di Cristo”.
Sono quattro dei sette studenti dell’Accademia di Brera che hanno disegnato con perizia e partecipazione sincera, con la tecnica della matita di grafite, i visi dei 19 “testimoni della fede” che, in sequenza, accolgono i visitatori all’ingresso di una delle mostre più frequentate del Meeting: Chiamati due volte. I martiri d’Algeria.
Promossa da Fondazione Oasis e Libreria Editrice Vaticana, racconta con parole e immagini emozionanti la storia esemplare dei cristiani uccisi in attentati terroristici di matrice islamica negli anni tra il 1994 e il 1996 e beatificati sette anni fa a Orano, nel giorno dell’Immacolata Concezione.
Matilde riconosce: “Sono partita con tanta paura di essere concentrata molto su me stessa, sulle mie capacità e sui miei limiti”. All’inizio “mi sono concepita da sola”, volendo che “tutto venisse perfetto, non per un fine più grande – costruire qualcosa – ma per una questione di orgoglio”. Ma subito, “dal primo pomeriggio di lavoro, mi sono resa conto che non ero da sola e che potevo affidarmi completamente ai miei amici”.
“Una consapevolezza da cui è sorto allora un desiderio vero di conoscere la storia degli uomini e delle donne che stavamo per rappresentare, ed è stato bellissimo lavorare su ogni volto avendo in mente la loro storia; sembrava di essere in dialogo con loro e volevo che anche chi avrebbe visitato la mostra potesse poi vedere quello che avevamo visto noi in loro”.
Precisa Matilde: “I 19 beati non erano mai stati effettivamente ritratti in questa maniera e le foto da cui siamo partiti non erano tutte particolarmente leggibili; contribuire quindi a far conoscere in modo così visivamente impattante queste facce di uomini e donne così coraggiosi ci ha reso il lavoro lieto, e anche nella stanchezza ci era chiaro il motivo per cui stavamo lavorando”.

Per Benedetta, “dal primo giorno di lavoro è nata l’urgenza di affidarci l’uno all’altro, catapultati in un compito che, per quanto facessimo Brera, ci era estraneo. Mentre ritraevo il primo volto, quello di Christian (il più giovane dei martiri), mi sono chiesta: ‘Ma chi sei tu? Come ti chiami? Cosa ti ha portato a diventare sacerdote in Algeria? Cosa ti ha condotto al martirio?’. È nata in me la necessità di conoscere quel volto e la sua storia. Allora mi sono alzata e sono andata a leggere la breve biografia stampata su un pannello della mostra. Il suo nome era Christian Chessel: aveva 36 anni quando è stato ucciso”.
Rimettendosi a disegnare, il lavoro di Benedetta ha assunto un’altra luce. “Non ero più io a compierlo: era lui, quel volto, quell’uomo che con la sua storia e la sua vocazione compiva me e mi aiutava a dare una nuova voce a ciò che aveva vissuto. E anche quando ci si accorgeva di aver bisogno della mano di un altro di noi perché il ritratto venisse ‘bene’, non se ne faceva una questione di orgoglio. Anzi, ci siamo resi conto che, perché quei volti potessero parlare a tutti i visitatori così come parlavano a noi, l’intervento di un amico era necessario e giusto”.
Martina in principio era scettica. “Non ero certa di essere brava abbastanza, ma ho accettato lo stesso, consapevole che non lo stavo facendo per me stessa, per emergere o fare un bel lavoro da aggiungere al mio portfolio, ma perché ero stata chiamata, ero stata scelta. Ho sempre considerato la mia arte una cosa molto personale, magari lasciandomi influenzare da compagni e artisti, ma comunque seguendo la mia strada. Lavorando a questi ritratti ho dovuto imparare a condividere la stessa opera e mi sono accorta con sorpresa che, mettendo mano sul disegno di un altro, facevo venir fuori un lavoro ancora più bello, invece che rovinarlo. Allo stesso modo inizialmente avevo timore che io venissi meno quando qualcuno ritoccava qualcosa fatto da me, perché ero sempre dell’idea che l’arte sia puramente personale. Invece ho scoperto che la mano dell’altro, al posto di annullarmi, mi può essere complementare, come da un dialogo con un altro si può conoscere meglio se stessi”.
Conclude Benedetta: “Prima di questa esperienza l’idea di lavorare in gruppo con altri mi sarebbe sembrata assurda e non per me; invece adesso l’idea di formare un collettivo mi gasa”.
Paolo si mostra “molto grato dell’opportunità che ho ricevuto nel poter contribuire alla realizzazione della mostra del Meeting sui martiri d’Algeria”. E spiega: “Ritrarre i loro volti mi ha aiutato a conoscerli e ad entrare in dialogo con loro, accorgendomi della loro importanza e della straordinarietà della loro vita e della loro storia”.
Paolo è stato colpito soprattutto dal fatto che, “anche in un periodo buio, di terrore, l’amore per Cristo che li ha travolti ha resistito ed è riuscito a vincere contro la violenza del mondo. Scoprire la loro storia insieme a degli amici, che mi hanno aiutato a non soffermarmi sui miei limiti e sulle mie insicurezze, mi ha permesso di capire meglio il ruolo che in quel momento mi era richiesto: costruire e creare non per un mio personale interesse, ma perché la bellezza e la testimonianza di un altro, dell’incontro di un Altro, potesse emergere e compiersi, e la testimonianza di questi martiri potesse arrivare anche ad altri, così come è arrivata a me”.
Oltre ai quattro di cui abbiamo raccolto le testimonianze, gli altri tre ragazzi dell’Accademia milanese che hanno raffigurato i volti dei martiri d’Algeria sono Chiara, Claudio e Filippo.
Interpretando il pensiero di tutti e sette i giovani artisti, Matilde così riassume che cosa rimane di questa loro straordinaria esperienza: “Da loro [dai martiri d’Algeria] possiamo sicuramente imparare a dire un ‘sì’ deciso e decisivo nei luoghi e nelle circostanze in cui siamo chiamati e voluti, anche se ci costeranno fatica e sacrifici”.
Nel cuore e nei volti di questi ragazzi si coglie la stessa certezza e profondità di quei testimoni. Essi ci aprono alla speranza per il futuro del mondo, come recitano i versi di Eliot: “Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi”. Gratuità e libertà sono i “mattoni” di questi splendidi ragazzi.
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