Meloni in trincea, tra Medio Oriente e Ucraina la politica estera è una grana: i balbettii della premier

Da Gaza al riarmo
Sull’assedio a Gaza il governo italiano esita a passare dalla critica alla condanna netta. Una posizione su cui ora pesa l’attentato di Washington cavalcato dalla Lega. Sul fronte ucraino l’unica carta per Meloni si chiama Leone XIV

C’è il guaio con Fedriga e la Lega, lontano dall’essere risolto nonostante l’incontro “con le migliori intenzioni” di ieri tra la premier e il governatore del Friuli. Ma lì non si muoverà niente prima della sentenza della Consulta, attesa in tempi rapidi. Ci sono gli eterni problemi del Ponte di Salvini, con il Colle che boccia le deroghe antimafia invocate dal ministro e vicepremier e la grandissima opera si conferma per l’ennesima volta una grandissima tegola pronta a piombare sulla testa del ministro. Ma tutto questo e altro ancora è ordinaria amministrazione. Oggi le partite che per Giorgia Meloni contano davvero, e anche le più difficili, sono solo quelle legate alla politica estera. Anzi alle guerre: l’Ucraina, con a ruota il riarmo, e Gaza.
Ieri il fronte più delicato era il secondo. L’attentato di Washington inevitabilmente pesa su posizioni come quelle italiane. A differenza di altri grandi Paesi della Ue come Spagna e Francia e del Regno Unito, l’Italia si muove con piedi di piombo. Ormai le critiche rivolte a Netanyahu sono aperte e continue e non era mai successo in questi 19 mesi. La stessa premier ha chiesto al ministro Tajani di convocare l’ambasciatore israeliano, dopo il gravissimo fatto di Jenin, i colpi in aria israeliani che hanno letteralmente messo in fuga una delegazione diplomatica internazionale, non solo per fare chiarezza su quel fattaccio ma anche per far pesare il dissenso italiano sui bombardamenti continui e sull’assedio che ha ridotto i gazawi alla fame.
Allo stesso tempo, però, il governo italiano esita a passare dalla critica alla condanna aperta e drastica. Ieri l’Alta commissaria europea agli esteri Kallas ha fatto sapere di aver avviato la revoca degli accordi commerciali con Israele dopo il voto di 17 Paesi a favore della richiesta olandese di revisione. La presidente von der Leyen, che è sempre stata contraria alla revoca, reagisce con massima freddezza, facendo sapere di “prestare attenzione alla procedura”. L’Italia, come la Germania, la Polonia e l’Ungheria, ha votato contro la revisione. La partita è tutt’altro che chiusa e la posizione italiana ancora da definire. Il ministro degli Esteri Tajani, il più esplicito con il collega della Difesa Crosetto nel criticare apertamente il governo Netanyahu ieri ha un po’ riequilibrato il carico: “Hamas non può essere il futuro o la guida della Palestina. E’ la causa dei mali che i palestinesi soffrono oggi”.
Pesa ovviamente la reazione all’attentato di Washington cavalcato soprattutto dalla Lega, la forza della maggioranza che resta più vicina al governo israeliano. A una giornalista che gli chiedeva se considerasse ancora Netanyahu benvenuto in Italia, come il leghista aveva dichiarato dopo il mandato di cattura spiccato dalla Corte di giustizia internazionale, il vicepremier risponde ringhiando: “Forse le è sfuggito che hanno ucciso due ebrei stanotte e io speravo che lo sterminio degli ebrei fosse finito nel secolo scorso”. Il ministro degli Interni Piantedosi suona l’allarme rosso: “In questo momento è particolarmente impegnativo contrastare rigurgiti antisemiti mascherati da critiche al governo di Israele”. Nel complesso per ora e nonostante l’Europa si muova per lo più con tutt’altra rigidità, la posizione dell’Italia non cambierà. Sul riarmo poi, Salvini ribadisce il suo “Giammai”: “Spese per la sicurezza e i carabinieri vanno bene ma indebitarsi per dare soldi alla Germania assolutamente no”.
Sul fronte dell’Ucraina. la carta che la premier vuole e può giocare, forse l’unica, si chiama Leone XIV. L’ipotesi di un incontro a metà giugno al Vaticano tra una delegazione russa e una ucraina non è irrealistica ma ancora non a portata di mano nonostante il Wall Street Journal la dia per quasi certa e anzi indichi anche il segretario di Stato Rubio come capo della delegazione a stelle e strisce, che arriverebbe a Roma per partecipare insieme ai due Paesi belligeranti. Il portavoce del Cremlino Peskov frena: “Non ci sono ancora accordi. Si sta lavorando per attuare gli accordi di Istanbul”. Il solo accordo stretto a Istanbul è sullo scambio di prigionieri, un migliaio per parte, ma è propedeutico a qualsiasi passo futuro.
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