Tumore del colon, studio italiano svela come muta il suo Dna

Sulla “carta di identità” dei tumori del colon da oggi possiamo aggiungere una nuova caratteristica: la velocità con cui muta, che è diversa da caso a caso e aumenta nelle metastasi. Un’informazione sull’evoluzione di questi tumori che aiuterà a personalizzare ancora di più le terapie, tanto che la scoperta si è aggiudicata la copertina di Science Translational Medicine di questa settimana.
Una scoperta italianaIl risultato è frutto di un lungo e paziente lavoro italiano, condotto dall’Istituto di Candiolo - Irccs in collaborazione con l’Institute of Cancer Research di Londra e diversi centri di Milano (Ifom, Human Technopole, Ospedale Niguarda, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Europeo di Oncologia), finanziato dal programma 5x1000 di Fondazione Airc e dalla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Lo studio è stato coordinato da Andrea Bertotti e Livio Trusolino, responsabili del Laboratorio di Oncologia Traslazionale dell’Irccs di Candiolo e professori ordinari di Istologia all’Università di Torino.
I tumori del colon non sono tutti ugualiCome è ormai noto da tempo, i tumori del colon non sono tutti uguali. In Italia colpiscono oltre 40 mila persone ogni anno e il 20% è scoperto in fase avanzata. In circa il 5% dei casi è presente una caratteristica (chiamata instabilità dei microsatelliti) che genera un elevato tasso di mutazioni: un indice di aggressività e di resistenza ad alcune terapie, ma anche di buona risposta all’immunoterapia. Il nuovo studio riguarda il restante 95% dei casi.
Lo studio sugli organoidiI ricercatori sono partiti da “mini-colon” (organoidi tumorali) ottenuti da campioni di tumore prelevati dai pazienti stessi, e ne hanno analizzato l’intero genoma all’inizio dell’esperimento, dopo sei mesi e dopo un anno di crescita continua. “Abbiamo sottratto le mutazioni presenti al tempo zero da quelle presenti alla fine per identificare quelle accumulate ex novo, e abbiamo diviso il loro numero per il numero di duplicazioni cellulari. In questo modo abbiamo calcolato il tasso mutazionale, che si è rivelato molto variabile e più alto negli organoidi ottenuti da lesioni avanzate (le metastasi, ndr.) in confronto a organoidi derivati da tumori più precoci”, spiega Elena Grassi, ricercatrice del Dipartimento di Oncologia, responsabile del team di analisi bioinformatiche e prima firma dello studio.
Il team si è concentrato soprattutto sui casi in cui il tumore primitivo al colon e una metastasi al fegato erano stati rimossi contemporaneamente: “I tessuti sono stati dissociati a singola cellula per generare gli organoidi, che abbiamo coltivato ininterrottamente per lungo tempo. È stato un lavoro di pazienza con non poche difficoltà logistiche, soprattutto perché i primi test sono iniziati ai tempi del lockdown”, prosegue Valentina Vurchio, biotecnologa nel Laboratorio di Oncologia Traslazionale di Candiolo, che ha condotto gli esperimenti di propagazione degli organoidi.
Misurare la velocità di crescita dei tumoriMa il risultato ha ricompensato la lunga attesa: i ricercatori hanno osservato che le nuove mutazioni che si stratificano nel tempo durante la progressione tumorale lasciano un’impronta molecolare che può essere ritrovata anche nei campioni dei tumori dei pazienti (e non solo negli organoidi). Il prossimo passo sarà quindi analizzare la presenza di questa “firma” e usarla come “metodo di datazione” del tumore: “Questo ci permetterà di distinguere tumori insorti precocemente e progrediti lentamente rispetto a tumori che si sono manifestati in tempi più recenti, ma hanno subito un’evoluzione rapida - conclude Bertotti - Lo scopo è capire meglio quali sono gli elementi che distinguono i tumori più aggressivi da quelli più indolenti, con l'obiettivo di focalizzare al meglio lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici”.
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