Mafia, il racket del clan Li Bergolis-Miucci: imprese sotto estorsione e intimidazioni per migliaia di euro

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Mafia, il racket del clan Li Bergolis-Miucci: imprese sotto estorsione e intimidazioni per migliaia di euro

Mafia, il racket del clan Li Bergolis-Miucci: imprese sotto estorsione e intimidazioni per migliaia di euro

Un sistema di estorsioni sistematiche, intimidazioni mafiose e assunzioni fittizie che, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, avrebbe messo sotto scacco numerosi imprenditori del territorio garganico. È questo il quadro accusatorio delineato nell’avviso di conclusione delle indagini dell’operazione “Mari e Monti” che coinvolge i vertici del clan Li Bergolis-Miucci, con in testa Enzo Miucci, 42 anni, detto “U’ Criatur”, e il fratello Leonardo detto Dino, 47 anni, entrambi indicati come promotori di una strategia estorsiva capillare ai danni della società Bio System Company S.r.l. e di altre realtà economiche locali.

Assunzioni imposte, contratti forzati e tangenti: il “modello mafioso”

Secondo la procura, il clan avrebbe costretto imprenditori a stipulare contratti e pagare somme di denaro per servizi mai resi o per “protezione” da minacce e ritorsioni. In particolare, la Bio System sarebbe stata obbligata, tra le altre cose, ad assumere Pasquale Totaro, ritenuto affiliato al clan, e a versargli emolumenti per 22.751 euro, nonostante non svolgesse alcuna attività lavorativa.

Altri episodi riguardano estorsioni finalizzate a far ottenere contratti fittizi per la movimentazione terra e la fornitura di piante e terreno, con importi compresi tra 16.660 e oltre 26mila euro, a vantaggio di ditte vicine al clan come la Costruzioni La Torre Srl di Michele La Torre e Agriforest Società Cooperativa Agricola, riconducibile a Antonio Quitadamo.

In ogni caso, le pressioni si concretizzavano in richieste di denaro periodiche o straordinarie, con la minaccia, neppure troppo velata, che in caso di rifiuto sarebbero arrivate ritorsioni capaci di compromettere l’attività imprenditoriale delle vittime.

Un’organizzazione mafiosa che imponeva il controllo del territorio

L’atto della DDA evidenzia come i comportamenti del clan fossero tutti finalizzati a rafforzare il controllo territoriale e a confermare la capacità del sodalizio di condizionare il tessuto economico. Le modalità intimidatorie – tra cui anche l’uso di ordigni come nel caso dell’autoscuola Renzulli o delle minacce documentate nei confronti della ditta Cosmic Impianti S.r.l., con bottiglie incendiarie e cartucce di fucile – erano ritenute sufficienti ad evocare il potere del clan e a indurre le vittime a cedere.

Il gruppo guidato da Miucci avrebbe fatto pressioni anche sul titolare di una rivendita d’auto affinché cedesse, a titolo gratuito, un’auto da destinare al 23enne, Antonio Miucci, figlio di Enzo, ma senza riuscire nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà, ovvero per il fatto che la vittima non aveva in quel momento veicoli disponibili.

La DDA ha contestato le aggravanti previste dall’articolo 416 bis del codice penale, sottolineando come tutte le condotte estorsive siano state attuate per agevolare l’associazione mafiosa Li Bergolis-Miucci. In molti casi, la minaccia risultava implicita, ma chiara: bastava la “qualità personale” di chi si presentava, spesso già noto per i propri legami con il clan.

Le accuse: estorsioni, minacce e violenza aggravata dal metodo mafioso

Oltre ai fratelli Miucci, sono coinvolti numerosi sodali e presunti affiliati, tra cui Raffaele Palena detto “Strizzaridd”, Pasquale Totaro detto “Farfaridd”, Giuseppe Pio Ciociola detto “Pannone”, Antonio Miucci, Matteo Lauriola, Donato Bisceglia, Lorenzo Scarabino, Claudio Iannoli detto “Cellin” e altri. A vario titolo, gli indagati avrebbero avuto ruoli di mandanti, esecutori materiali o facilitatori nei singoli episodi estorsivi, con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Tre i pentiti del clan dopo l’inchiesta “Mari e Monti”, Matteo Pettinicchio, ex braccio destro del boss, Matteo Lauriola e Giuseppe Stramacchia detto “il secco”.

Le estorsioni sono documentate tra il 2020 e il 2021, in un arco temporale che evidenzia la continuità e la pervasività delle condotte mafiose a Monte Sant’Angelo e, in alcuni casi, anche in altre località come Terni e Vieste.

La vicenda, se confermata nelle fasi processuali successive, disegna un contesto di assoggettamento mafioso esteso e radicato, dove la violenza e la paura si mescolano con le dinamiche economiche quotidiane, in un territorio ancora profondamente segnato dalla presenza pervasiva della criminalità organizzata.

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