Età biologica e anagrafica: sapete qual è la differenza?

Quanti anni hai? È forse la domanda più semplice, la prima alla quale impariamo a rispondere. Basta contare gli anni passati dal momento dalla nostra nascita e il gioco è fatto. Ma se ci interessasse andare più in profondità e capire quanto siamo realmente invecchiati dal giorno in cui abbiamo aperto gli occhi, tutto si complica. Secondo la scienza medica, infatti, sono sempre maggiori le evidenze che l’età anagrafica – quella scritta sulla carta d’identità – racconti solo una parte della nostra storia.
Gli studiosi della longevità sostengono, al contrario, che ciò che conta davvero è l’età “biologica”, che descrive il reale stato dell’organismo, delle cellule e della nostra salute. La novità è che oggi siamo in grado di misurarla, almeno in parte. Negli ultimi anni, grazie all’epigenetica e ai big data, i ricercatori hanno sviluppato strumenti sempre più precisi per calcolare l’età biologica, che può essere più bassa o più alta rispetto a quella cronologica.
Come distinguere le due etàMa cosa si intende esattamente per età biologica e come facciamo a distinguerla da quella anagrafica? "Come tutti sappiamo, l’età anagrafica è il numero di minuti, ore, mesi e anni passati dalla nostra nascita”, risponde Morgan Levine, già professoressa alla Yale School of Medicine e oggi Vicepresidente di Altos Lab, start-up californiana fondata nel 2022, che si propone di sviluppare terapie in grado di rallentare il processo di invecchiamento. “Nonostante non esista oggi una definizione condivisa, possiamo pensare all’età biologica come una stima dello stato di usura dell’organismo, a partire da cellule e tessuti. Si calcola utilizzando biomarcatori che riflettono lo stato di salute complessivo: infiammazione, metabolismo, funzione immunitaria, attività genica e altri parametri”.
Uno dei metodi più studiati oggi è l’orologio epigenetico, sviluppato nel 2013 dal biostatistico tedesco Steve Horvath, che si basa sulla metilazione del DNA. "Con metilazione del DNA – prosegue Levine – si intendono tutte quelle modifiche chimiche che il genoma umano subisce in siti specifici (le metilazioni, appunto, n.d.a.), che cambiano con l’età. Analizzando i pattern di metilazione del genoma, è possibile stimare quanti “anni biologici” abbia una persona, anche a partire da un semplice prelievo di sangue o saliva”. Altri approcci includono la misura della lunghezza dei telomeri – le estremità dei cromosomi che si accorciano con l’età – o l’analisi di variabili fisiologiche come pressione arteriosa, glicemia, colesterolo, VO? max.
Ma in che modo identificare la nostra età biologica potrebbe farci star meglio? "Stiamo dimostrando che la discrepanza tra le due età può influenzare profondamente la salute”, nota la studiosa. Alcuni esempi? Secondo una nuova analisi sulla rivista scientifica Neurology, per coloro che hanno un’età biologica superiore rispetto a quella anagrafica il rischio di sviluppare una demenza cresce del 35%. Le persone biologicamente più vecchie presentano maggiori rischi cardiovascolari e di sviluppare alcuni tipi di cancro. A queste evidenze si aggiunge una recente scoperta: la gravidanza può accelerare l’invecchiamento biologico nelle donne, come riportato da uno studio della Columbia Mailman School of Public Health.
L’effetto è cumulativo: ogni gravidanza aggiunge in media 2-3 anni all’età epigenetica della madre, rendendola più vulnerabile a malattie croniche nella mezza età. Ma se è vero che le lancette dei nostri orologi non stanno ferme nemmeno quando dormiamo, è possibile rallentare o addirittura fermare l’orologio dell’invecchiamento? "Una cosa è certa – chiarisce Levine –: l’età biologica, al contrario di quella anagrafica, è modificabile. Le persone che invecchiano più lentamente non fumano, bevono poco alcol, fanno regolare attività fisica, mangiano molta verdura e frutta, dormono oltre 7 ore a notte e non sono stressate”. Nulla di sorprendente, insomma.
"Ciò che può stupire è che solo una piccola parte della nostra vita è da attribuire a fattori genetici (dal 10 al 30% a seconda dei casi, n.d.a.)”, conclude l’esperta. In altre parole, il nostro invecchiamento dipende in larga parte dai cibi che mangiamo, dall’aria che respiriamo e in generale da tutti quei fattori definiti “modificabili”. “Ogni orologio ha il suo tempo proprio. Ogni fenomeno che accade ha il suo tempo proprio, il suo proprio ritmo”, così scriveva il fisico Carlo Rovelli nel saggio L’Ordine del Tempo, uscito ormai nel 2017. Non possiamo fermare il tempo, ma possiamo senza dubbio scegliere come farlo passare.
La Repubblica